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La narrativa russa della guerra 5: un nuovo ordine mondiale

by Luigi Gravagnuolo
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Affrontiamo qui il nodo centrale della narrazione russa del conflitto: l’operazione militare speciale avviata lo scorso 24 febbraio segna il momento del riscatto della Russia da anni di umiliazioni e l’avvio di un’azione a largo raggio volta a contenere prima, e a sconfiggere infine, il dominio degli Stati Uniti sul resto del mondo. Non ci sarebbero quindi solo le pur più volte richiamate esigenze di protezione delle popolazioni russofone del Donbass, vessate dai ‘nazisti’ ucraini, a spiegare l’invasione, ma la necessità di ridisegnare l’ordine mondiale alterato abnormemente a vantaggio degli USA dopo il crollo dell’URSS.

Putin al riguardo ha sviluppato una organica visione dell’attuale assetto geopolitico del pianeta e della sua genesi storica.

Utilissima è, a questo riguardo, la lettura integrale dei suoi due interventi del 21 e del 24 febbraio scorsi. Il primo, più organico, volto a rappresentare al popolo russo le ragioni dell’imminente avvio dell’operazione militare speciale ed a porre una sorta di ultimatum al governo ucraino ed ai suoi sostenitori euroatlantici; il secondo, rivolto al popolo ed all’esercito ucraini nel giorno stesso dell’invasione per invitarli a rovesciare il governo Zelens’kyi ed a ricongiungersi senza opporre resistenza alla loro vera ed unica patria, la Santa Russia.

Tutto nasce, nella ricostruzione storica del neo-zar, dalla tragedia della dissoluzione dell’URSS, su cui a suo dire i dirigenti del PCUS ebbero gravissime responsabilità. Il leader della Federazione Russa risale fino alle colpe di Lenin – salito al potere tramite un colpo di stato, quale fu a suo avviso l’assalto al Palazzo d’Inverno ‘17 – ed a quelle dei suoi successori. Tuttavia, pur nel disastro della distruzione dell’impero zarista, la conclusione della Seconda guerra mondiale con la divisione del mondo e dell’Europa in particolare in sfere di influenza ben delimitate aveva portato ad un accettabile ordine mondiale, stravolto con prepotenza, menzogne e iniziative militari dagli USA dopo il collasso dell’URSS. Qui, nel crollo dell’Unione Sovietica, lui fissa l’inizio delle dinamiche che hanno portato alla guerra russo-ucraina.

Gli USA ed i loro satelliti europei avrebbero approfittato della crisi economica, sociale, istituzionale e politica della Russia negli anni ’90, per annettere ed assimilare alla loro civiltà i paesi ex Patto di Varsavia, portando progressivamente la NATO ai confini della Federazione russa.

Ci sono voluti trent’anni – è sempre Putin che parla – perché la Russia ricostruisse le proprie strutture statuali e politiche ed ora essa è finalmente nelle condizioni di rintuzzare l’avanzata americana, aggregando in questa sfida il resto del mondo non dominato dall’impero della menzogna. Putin candida quindi la Federazione russa a guida di un movimento mondiale anti-USA, composto da tutti i Paesi che intendono difendere la propria civiltà autoctona, distinta dalla civiltà occidentale, e la propria indipendenza politica e militare: dalla Cina all’India, dalla Siria ai Paesi del Nord e Centro Africa, fino agli Stati del Sudamerica. È una lotta a tutto campo contro la globalizzazione e per il sovranismo, unica barriera a difesa delle culture e tradizioni dei popoli. La battaglia in corso oggi nel Donbass non è dunque fine a se stessa, pur se ha motivazioni intrinseche, ma è solo il primo passo verso un nuovo ordine mondiale. Questa in sintesi la sua narrazione.

È importante richiamare due passaggi contenuti nei suoi interventi. Il primo è storico, l’altro geo politico.

Il riferimento storico è al Patto Ribbentrop-Molotov del ’39. Si era alla vigilia dell’invasione nazista della Polonia e, a pochi giorni dal suo avvio, Hitler volle assicurarsi che l’URSS non sarebbe intervenuta in sua difesa. Propose dunque a Stalin, che accettò, un patto di ‘non belligeranza’. In cambio avrebbe garantito all’Unione Sovietica la non ingerenza del Reich in una sua eventuale azione militare di espansione verso Ovest. In pratica, Hitler e Stalin concordarono di spartirsi l’Europa orientale.

Siglato il Patto il 23 agosto 1939, il primo settembre Hitler invase la Polonia e fu la Seconda guerra mondiale. Il 16 settembre successivo Stalin invase la Polonia da Oriente. Poi, il 30 novembre dello stesso anno, l’URSS invase la Finlandia.

Stalin mantenne dunque gli accordi e ne trasse profitto, ma nel ’41, unilateralmente ed imprevistamente per i sovietici, Hitler mosse le sue armate contro l’Unione Sovietica, cogliendola impreparata. I costi per i Russi furono altissimi; poi, un po’ alla volta, riuscirono ad organizzarsi ed infine respinsero gli invasori nazisti al prezzo terribile di venti milioni di morti. Fu la Grande Guerra Patriottica. Putin, nel suo intervento del 21 febbraio, ha ricordato questa dolorosa vicenda, per dire che la Federazione russa non può commettere lo stesso errore di Stalin nel ‘39 e fidarsi oggi delle rassicurazioni euroccidentali; deve attaccare subito, prima che lo faccia la NATO. L’accusa putiniana a Stalin si limita quindi all’ingenuità per aver sottoscritto e creduto a quel patto, non investe il suo calcolo cinico, quale difatti fu. I due dittatori avevano concordato di spartirsi l’Europa; questo Putin lo sottace, forse perché qualcosa del genere gli starebbe bene anche oggi, se ci fosse un altro Hitler con cui trovare l’intesa. Ci era arrivato vicino con Trump, pronto a lasciargli campo libero in Europa Orientale ed anche a ridurre l’impegno USA nella NATO, in cambio di una posizione russa di convergenza nel Pacifico in funzione anticinese. Ma Trump non risiede più alla Casa Bianca.

L’altro passaggio riguarda l’attuale assetto geopolitico dell’Europa. Ai Paesi euroccidentali Putin offre la promessa della pace e della concordia nella reciproca sicurezza, se solo avessero il coraggio di emanciparsi dal dominio USA. Qui mette il dito su una questione reale. Effettivamente gli USA vedono con preoccupazione l’eventuale costituzione di uno spazio economico euroasiatico, con la Russia in posizione rilevante. Ed in realtà questo enorme spazio geo-fisico ed economico ne farebbe un competitore strategico di assoluto rilievo per gli USA. Non c’è dunque da meravigliarsi se, ogni volta che ci sono stati passi in avanti in questa direzione, gli USA si siano messi di traverso. Ma, se questo fosse stato davvero l’obiettivo, il Cremlino avrebbe fatto tutt’altra cosa che invadere l’Ucraina, determinando così la rottura diplomatica frontale con l’UE.

In realtà il progetto non è la coesione interna al vecchio continente, ma la ricostituzione della cortina di ferro, col dominio russo sui paesi eurorientali.

I popoli che vivono in questi paesi, però, soggiogati da secoli dai Russi, avendo dal ’91 ad oggi finalmente respirato aria di libertà e di autonomia, non hanno alcuna intenzione di finire di nuovo sotto il loro tallone di ferro. Chissà se tra voi lettori ci sia qualcuno che durante gli anni dell’Unione sovietica è stato in Cecoslovacchia, o in Romania, o in Lituania, per citare solo alcuni di questi Paesi. Se ci è tornato recentemente, non ha certamente bisogno di tante spiegazioni per capire le ragioni per cui i loro cittadini vedono col fumo negli occhi qualsiasi prospettiva di restaurazione imperiale russa. Un abisso separa la qualità della vita della Praga di oggi da quella degli anni del dominio sovietico. E questo vale per tutte le altre città dell’Est europeo.

Quello che Putin volutamente non dice è la pura verità, vale a dire che la NATO si è espansa a ritmi accelerati verso Est non per una volontà aggressiva verso la Federazione russa, ma perché chiamata da quei popoli a tutelarli da probabili nuove pretese egemoniche dei Russi.

Questa realtà proprio non gli va giù: come è possibile che questi popoli preferiscano la libertà e lo stato di diritto al ritorno alle proprie sacre tradizioni ed alla propria storia, lasciandosi assimilare dalla civiltà decadente dell’Occidente? Solo gli ingannevoli messaggi dell’impero della menzogna posso spiegare tale perversione!

Ma no, sig. Putin, il fatto è che hanno assaggiato la mela della libertà e non hanno voglia di tornare nel suo meraviglioso paradiso russasiatico.

È la libertà il frutto maligno dell’impero della menzogna che sta ingannando il mondo, non la presunta preparazione della NATO ad una guerra di aggressione contro la Russia. La minaccia vera per l’autocrazia moscovita è il contagio della democrazia, che è arrivato alle porte della Russia.

Ciò non toglie che è altresì vero che l’ordine mondiale determinatosi dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’impetuosa ascesa economica, militare e politica della Cina, la crescita dei Paesi del Brics, il diverso e più rilevante peso dell’Islam, richieda una sua definizione riequilibratrice e stabilizzatrice. Mission conseguibile solo per il tramite di una conferenza mondiale sotto l’egida dell’ONU. Il mondo ne ha bisogno, ma per perseguire la via diplomatica, occorrerebbe che i diversi attori della negoziazione fossero affidabili. Ne parleremo nel prossimo pezzo.