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La pace in Ucraina si gioca nel Pacifico

by Luigi Gravagnuolo
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Che cosa sarà saltato in mente a Vladimir Putin un anno fa, quando decise di infilare se stesso, la Russia e il mondo intero in una trappola infernale? Avventurismo ideologico panrusso e/o teocratico? Informazioni errate circa la consistenza della componente filorussa della società ucraina, in particolare nelle sue forze armate? Sopravvalutazione delle proprie capacità militari e sottostima di quelle di Kiev? Accordi sottobanco con Trump, che lo rassicurava sulla debolezza di Biden e sulle divisioni dell’Occidente? Accordi con Xi Jinping per aprire uno scontro planetario con gli USA finalizzato alla definizione di un nuovo ordine del mondo? Paranoia circa una imminente aggressione della NATO alla Russia o quanto meno circa l’installazione di postazioni missilistiche NATO in Ucraina? Volontà di raccogliere il grido di dolore dei russofoni di Ucraina?

Allo stato nessuno può saperlo con certezza. Fatto sta che la sua decisione è costata la vita finora a circa trecentomila tra militari e civili russi e ucraini, ha comportato la distruzione di città e infrastrutture della sua amata ‘Piccola Russia’, lo ha isolato dal mondo civile, ha interrotto la progressiva integrazione dell’economia russa nel contesto europeo di cui la Federazione Russa era il principale fornitore energetico, ha reso il suo Paese un protettorato cinese e ha ridotto lui stesso a un mezzo fantoccio di Xi Jinping. Senza che nessuno, meno che mai lui stesso, riesca a trovare la via di uscita.

Ora sta addestrando le leve della ennesima mobilitazione, centinaia di migliaia di altri giovani russi arruolati e destinati al macello, sta intensificando la produzione in proprio e l’acquisto di nuove armi, sta ammassando truppe al fronte e minacciando una nuova apocalittica offensiva per portare a termine l’operazione militare speciale.

Dal canto suo Zelensky annuncia che è a sua volta pronto ad una controffensiva che condurrà Kiev alla ‘sicura’ vittoria entro il 2023, con la riconquista non solo dei territori occupati dai Russi dal 24 febbraio scorso ad oggi, ma anche dell’intero Donbass e addirittura della Crimea.

Ma la guerra continuerà ancora a lungo, almeno fino al ‘24, anno cruciale. Zelensky ed alleati occidentali, al di là dell’intendimento di chiudere la partita prima del novembre ‘24, quando le urne degli Stati Uniti potrebbero riportare alla Casa Bianca Trump o chi per lui, non sembrano avere la forza per mettere in rotta l’armata russa passando nel giro di pochi mesi dalla attuale guerra di posizione ad una controffensiva di movimento.  Putin, per parte sua ha tutto l’interesse ad aspettare il cambio di guardia alla Casa Bianca e, in sua attesa, continuerà a lavorare per stremare la popolazione dell’Ucraina. Come pure per migliorare le condizioni di vita dei residenti nelle aree da lui occupate, al fine di alimentare nel popolo ucraino un improbabile desiderio di ricongiungimento alla grande madre patria.

In questo contesto si inseriscono le varie iniziative diplomatiche oggi in corso, la più rilevante delle quali è quella cinese. A latere dell’Assemblea Generale delle nazioni Unite del 23 febbraio scorso, il cui voto finale ha confermato a larga maggioranza la condanna dell’invasione russa – 141 voti contro sette contrari e 32 astenuti – il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, ha intrecciato diversi colloqui con i rappresentanti dei Paesi più coinvolti nella vicenda russo-ucraina, a cominciare da statunitensi ed ucraini, per poi recarsi a Mosca, dove ha presentato a Putin i dodici punti messi a punto dal governo cinese per mettere fine alla guerra. Un piano forse generico, ma non disprezzabile, utile senz’altro per avviare un negoziato. Tant’è che lo stesso Zelensky, pur dichiarando di non poter accettare tutte le sue singole proposte, si è detto comunque disposto ad un incontro diretto col leader cinese Xi Jinping.

Drastica invece risposta degli USA, che non solo hanno dichiarato inaccettabile la piattaforma di Pechino, ma hanno contestualmente denunciato l’imminente fornitura da parte del colosso asiatico di armi all’alleato russo. Sospetto questo, supportato da informative dell’intelligence statunitense, ma respinto con fermezza dai Cinesi, i quali in verità finora non hanno fornito alla Russia neanche una pistola. Gli USA temono che l’iniziativa cinese serva solo a bloccare una possibile controffensiva ucraina e a dare tempo a Putin di riorganizzare le sue forze per riprendere su larga scala la sua guerra di logoramento, fino all’apertura della campagna elettorale per le presidenziali USA, le cui dinamiche divisive nella società americana potrebbero indebolire la capacità decisionale di Biden già da prima del novembre ‘24. Gli USA perciò, prima e più ancora di Zelensky, vogliono chiudere la partita entro il ‘23 e vogliono chiuderla con una vittoria inappellabile, che possa incidere sull’esito del voto presidenziale.

In questo contesto il piano della Cina è giocoforza infruttuoso, tuttavia contiene aspetti non banali, a cominciare dai primi due punti:

  1. Rispettare la sovranità di tutti i Paesi: «Il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, devono essere rigorosamente osservati. La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i Paesi devono essere effettivamente sostenute. Tutti i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, sono membri uguali della comunità internazionale».
  2. Abbandonare la mentalità da Guerra Fredda: «La sicurezza di un Paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri. La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e le preoccupazioni di tutti i Paesi in materia di sicurezza devono essere presi sul serio e affrontati in modo adeguato. Non esiste una soluzione semplice a una questione complessa. Tutte le parti dovrebbero, seguendo la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile e tenendo presente la pace e la stabilità a lungo termine del mondo, contribuire a forgiare un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile».

Non sono concessioni di poco conto. La Cina, che a sua volta rivendica la propria integrità territoriale, compresa Taiwan, dice perciò a Putin che deve ritirarsi nei confini del ‘91; nel contempo ne condanna la pretesa di tornare alla cortina di ferro e di ristabilire le zone d’influenza del secondo novecento. Tale pretesa non è giustificata, agli occhi di Pechino, neanche allo scopo di creare a fini di sicurezza un’area cuscinetto tra i propri confini e quelli dell’Occidente. Si comprende quindi perché Zelensky non abbia alzato un muro su questa proposta, sia pure nei limiti della limitata libertà di iniziativa che l’attuale contesto bellico gli consente.

A Putin invece Xi Jinping offrirebbe la fine delle sanzioni dell’Occidente. Il decimo punto così recita:

  1. Fermare le sanzioni unilaterali: «I Paesi interessati dovrebbero smettere di abusare delle sanzioni unilaterali e della “giurisdizione a lungo raggio” nei confronti di altri Paesi, in modo da fare la loro parte nella de-escalation della crisi ucraina e creare le condizioni affinché i Paesi in via di sviluppo possano far crescere le loro economie e migliorare la vita dei loro popoli».

Niente altro c’è di vantaggioso per la Russia nei dodici punti del piano cinese. Il fatto che Putin non abbia neanche accennato ad un diniego su di esso la dice perciò lunga sulle difficoltà in cui si trova.

Un’ultima considerazione sulle ragioni dell’iniziativa cinese. A parte il palese fastidio per l’interruzione forzata dei processi di globalizzazione, a cominciare dallo sviluppo della ‘Via della seta’, che la guerra ha determinato, la Cina sa che in prospettiva l’aspetta uno scontro molto duro con gli USA nel Pacifico. Scontro per il quale al momento non è pronta. La sua strategia prima dell’invasione era chiara, conquistare dall’interno le economie e le info-strutture dei Paesi del mondo intero, compresa l’Europa occidentale, per arrivare nel tempo o a governarli tramite governi Quisling, ovvero a condizionarne le politiche. Ora, al di là del vantaggio immediato che possono darle lo strenuante impegno dell’Occidente in Ucraina e la colonizzazione di fatto della Russia, da cui oggi prende energia sottocosto in cambio del suo sostegno ‘fraterno’, ha esigenza di rimettere in moto al più presto questi processi. Ma gli USA non hanno alcuna intenzione di concederglielo. Il tavolo della pace si sta spostando decisamente verso il Pacifico.