Stamane presto qui l’aria era scura, chiusa, quasi cupa. In lontananza il mare increspato come mai in questi giorni. E il cono del vulcano quasi nascosto del tutto da nuvole nere. Sembrava come spuntata un’alba di dolore, come un triste presagio per moltitudini e genti in attesa.
Non hanno dormito stanotte a centinaia, ragazzi con motorini e vespette a scorrazzare per Fuorigrotta, come a presidiare il tempio che si vuole felice.
Tutta questa febbrile attesa – c’è chi ieri ha innalzato anche bandieroni e striscioni – nasconde alla meno peggio l’angoscia, il timore di vedere sfumato quel sogno all’ultimo metro.
Sembra fantasia, è invece metafora cruda dell’esistenza. La differenza in apparenza sottile ma enorme tra vivere e morire. E’ la stessa alternativa angosciosa che zampilla in testa – alla stessa maniera – a compìti professori e a ultras da stadio.
Intanto, man mano che il mattino si inoltra, dopo la pioggia, perfino fanno capolino un po’ di raggi di sole. E il mare si placa, cala anche il vento.
Chissà fino a stasera?
Napoli e dintorni – la sua corona di spine come la definì una volta qualcuno – si scoprono in trepida attesa. Sembra che debba verificarsi l’evento più grave e importante di sempre.
E i catastrofici terremoti? E il bradisismo? La guerra, i morti di Gaza.
Tranquilli, nessuno dimentica nulla. Nemmeno la povertà e la miseria di certi vicoli, come fossimo ancora in pieno seicento.
E’ che dentro quel tempio stanotte si racchiude ogni cosa. C’è sacro e pagano, c’è quel sentirsi una sola parte anche tra parti avverse, c’è solidarietà smisurata tra chi è con gli azzurri e ostilità per tutti gli altri. Arbitri, avversari, osservatori lontani. Chi non è mai stato su quegli spalti non può capire, insieme un sentimento che mescola orgoglio e pietà di sé stessi.
Tutti schiavi di un enigma, incomprensibile, esoterico ma dolce. Sottile e seducente nella sua sottocultura. Se il sobrio intellettuale si mescola al giovanotto di provincia che tira fuori dal borsone il panino portato da casa ci sarà pure un motivo? Inutile tentare di spiegarlo con interpretazioni di sociologia. E’ come la Storia, a volte accade perché’ deve accadere.
E il tempo sembra ormai avere tenuta, anche il traghetto che arriva dalla Sicilia sembra ora sfilare sulle onde con meno fatica. E il mare torna azzurro dal grigio cupo con cui si presentava stamane. E torna quella speranza che azzurra sia la notte nel tempio.
Da Diego al nigeriano, dal fuoriclasse georgiano agli altri campioni fino alla squadra operaia di questa notte.
Sarà per questo che la città, pur sempre stretta agli azzurri, questa volta sembra più elettrizzata e insieme angosciata? E’ il Napoli operaio che si ama per questo di più?
Si sa bene che sarà faticoso vedere quel pallone in rete. Le altre volte ci pensava Careca, poi gli altri. Stavolta dovranno davvero pensarci i 60mila respiri.
Se si perde sarà la conferma che si appartiene all’emisfero dei deboli, di chi nella storia sta sotto.
Se si vince – non coi campioni ma con i Mazzocchi, gli Olivera o i Billing, anche con McTominay, che è un operaio specializzato – sarà più di sempre la vittoria più bella e completa.
Per una notte, certo.
Poi la vita riprenderà come sempre e ogni cosa e persona tornerà al suo posto di prima.
Con la memoria orgogliosa e benaugurante – però – di una squadra e di una vittoria operaia.