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La serie di Natale: 3 – Apicio

by Piera De Prosperis
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In ogni famiglia si tramanda la ricetta degli struffoli. I propri struffoli sono gli unici autentici, quelli tramandati in linea femminile da una nonna, una mamma o una zia monaca. Chi ha la ricetta nata in convento forse ha quella più vera, perché un tempo questi dolci erano offerti in dono a Natale alle famiglie nobili in riconoscenza della carità verso il convento. Un po’ come le santa Rosa, dolce che deve il suo nome alla Santa cui era dedicato l’omonimo convento di Conca dei Marini, sulla costiera Amalfitana, dove le vergini mani impastavano e infornavano per il palato dei loro nobili protettori.

Ma tornando alle nostre dolci palline coperte di miele, canditi, diavolilli, cucuzzata, la loro origine potrebbe addirittura risalire all’antica Grecia. Nell’impasto originale si trovano oltre l’indispensabile miele, anche fichi, noci, melograno. Prodotti tipici della Grecia fin dall’antichità. Il nome deriverebbe da strongoulos, che significa arrotondato, e pristos che vuol dire tagliato. Oppure deriverebbe da strofinare, per il gesto che si compie per lavorare la pasta. Non a caso in Grecia si prepara un dolce chiamato “loukoumades” (ghiottonerie) che ricorda proprio gli struffoli.

L’elemento chiave è il miele usato dagli antichi come dolcificante, dato che non conoscevano lo zucchero che verrà introdotto in Europa solo nel IX secolo dagli Arabi. Pur esistendo la canna da zucchero era considerato un prodotto medicinale esotico, come ci dice Plinio nella Naturalis Historia. Altri elementi per dolcificare erano lo zucchero d’uva ricavato dagli acini e lo sciroppo di barbabietola. Il miele, cibo degli dèi per antonomasia, era utilizzato anche per la carne. In particolare per una ricetta ricca e prelibata, destinata alla tavola dei nobili: il ghiro al miele. Apicio, autore del de re coquinaria, ci dà la sua personale ricetta: riempite i ghiri con carne tritata di maiale e con il trito delle interiora dello stesso ghiro, aggiungere il pepe, la frutta a guscio, il laser (succo di silfio, una sorta di finocchio gigante, pianta ora estinta), ed una salsa. Cuocete nel forno o in un clibanus (forno portatile).

Cibo sopraffino! Ancora oggi il ghiro, che è una specie protetta, è una leccornia in alcune zone della Campania, della Calabria e della Toscana. Non a caso viene cacciato di frodo.

La ricetta antica fa rabbrividire, per cui l’invito è di evitare di mangiare i ghiri e lasciarli ingrassare sugli alberi e non nel glirarium, un contenitore di terracotta con dei fori che permettevano la circolazione dell’aria. All’interno avevano delle corsie, semitae, che permettevano agli sventurati animaletti di salire fino in alla sommità per ricevere il cibo: ghiande, noci, castagne. Non a caso il ghiro compare nella cena di Trimalchione, dove tra gli antipasti della gustatio sono serviti con miele e semi di papavero.

Il miele quindi solo per gli struffoli. Che con il loro numero molteplice, così come l’uva e il melograno, portino abbondanza, ricchezza e salute in tutte le case, napoletane e non.