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L’auto elettrica europea: e-fuel si, bio-fuel no

by Pietro Spirito
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Forse, le tante lezioni accumulate negli anni passati avrebbero dovuto indurre l’Italia ad un atteggiamento politico più accorto in sede comunitaria nella complessa partita dell’auto elettrica, iniziata ormai da tanti anni. Quando si cominciano a preparare dossier delicati, che possono incidere sul futuro industriale o economico del Paese, l’Italia mette la testa sotto la sabbia, come lo struzzo. Tace, non si pronuncia, lascia fare ad altri.

Poi, quando si arriva sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, come accade durante le corse ciclistiche, l’Italia immagina di poter tirare fuori dal fodero la sciabola, per poter ribaltare il tavolo. Si accorge solo allora di aver accumulato un ritardo incolmabile e finge una indignazione degna di un consumato attore. Come accadeva a Gianni dei Brutos, all’Italia capita si concludere i suoi brani musicali sempre con un sonoro schiaffo in faccia. Ancora una volta è andata così.

Alla fine, come era del tutto prevedibile, si è arrivati a un accordo per dire stop alle auto a benzina e diesel, ovvero alimentate con combustibili fossili. La data è rimasta quella approvata a febbraio in plenaria dal Parlamento europeo, ovvero il 2035. Ma allora cosa è cambiato? In principio, Commissione e Parlamento europei avevano ufficializzato che dal 2035 solamente le auto a emissioni zero potessero essere vendute.

Ma mentre prima, tra le auto a zero emissioni erano contemplate solo le auto elettriche (perché le uniche esistenti nella pratica con queste caratteristiche), dopo le barricate erette da Germania e Italia le istituzioni europee sono tornate sui propri passi, inserendo una deroga – fortemente voluta dai tedeschi – ai carburanti sintetici, i cosiddetti e-fuel. Noi, con i biocarburanti, siamo invece rimasti con un palmo di naso rivolto in aria.

Con e-fuel si intendono carburanti sintetici prodotti tramite processo di elettrolisi dell’acqua e per mezzo di fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica o solare, oppure estraendo CO2 dall’atmosfera. Sulla carta, gli e-fuel si presentano come benzine con le stesse caratteristiche di quelle tradizionali, a cambiare quindi è solo il metodo di produzione. In questo modo, gli attuali motori endotermici, ovvero a combustione, possono continuare a essere venduti.

Al momento però non c’è una produzione su larga scala di carburanti sintetici (è la stessa industria dei combustibili ad ammettere, nelle proprie stime, che nel 2035 gli e-fuels potrebbero soddisfare appena il 3 per cento della domanda di carburante stradale in Europa) e il dibattito resta aperto su quanto siano realmente sostenibili. I numeri e i test effettuati, infatti, in particolare quelli dell’ong Transport & Environment, dimostrano che un’auto elettrica impatta il 50 per cento in meno, considerato tutto il ciclo vita, rispetto ai veicoli alimentati a e-fuel.

E poi c’è la questione delle emissioni: gli e-fuel vengono considerati “eco” perché attraverso la loro combustione viene emessa nell’ambiente la stessa quantità di CO2 che era stata precedentemente assorbita durante la produzione. Insomma, da questo punto di vista non sono carburanti “a emissioni zero”, ma “climaticamente neutrali”. Inoltre, la combustione di carburanti sintetici emette le stesse quantità di NOx (ossido di azoto) dei carburanti fossili e non cambia nulla nemmeno in termini di particolato (le polveri sottili, Pm).

Dal momento che già dal 2030 nell’Unione europea le auto nuove dovranno emettere il 55 per cento di CO2 in meno rispetto al 2021, diverse case automobilistiche hanno già annunciato che termineranno di vendere auto a benzina e diesel a partire da quell’anno, per non aspettare l’ultimo momento.

Intanto, la Commissione non ha tenuto in considerazione la deroga ai biocarburanti – ovvero dei carburanti prodotti a partire dalla fermentazione di biomasse o scarti – come chiesto dall’Italia, perché ciò avrebbe comportato la riapertura del testo frutto di un accordo già chiuso e votato dal Parlamento. Il governo italiano ha annunciato battaglia su questo fronte, ma per ora la decisione è netta: e-fuel si, bio-fuel no.

Consideriamo che la previsione dei soli carburanti sintetici rappresenti una interpretazione troppo restrittiva, che non consente ancora una piena attuazione del principio di neutralità tecnologica per il quale l’Italia si è sempre battuta sulla base di dati tecnici e scientifici”, sono le parole del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin espresse durante il consiglio dei ministri dell’Energia degli stati membri, che hanno a loro volta votato e approvato lo stop al 2035 delle auto a combustibili fossili. L’Italia ha partecipato al voto, astenendosi (l’unica a votare contro è stata la Polonia).

Pichetto Fratin ha però rimandato a una possibile apertura da parte della Commissione. “Abbiamo ottenuto il fatto che si possa, prima della verifica del 2026, aprire una discussione nel provare che l’emissione nel momento dell’utilizzo dei biocarburanti possa essere compensata dalla captazione di CO2 nel momento in cui vengono prodotti”. In altre parole, l’Italia vuole dimostrare che i biocarburanti possano essere considerati “climate neutral” come gli e-fuel.

Nel salutare positivamente l’accordo raggiunto, il commissario europeo per l’ambiente Frans Timmermans ha anche ricordato che “una rivoluzione industriale è ormai partita, dobbiamo scegliere se guidarla o subirla”. Per l’Europa sarebbe un suicidio rimanere indietro sul mercato dell’auto elettrica e in questo senso quella della Germania è una vittoria sul piano politico ma una sconfitta dal lato ambientale ed economico: gli e-fuel hanno il solo vantaggio di prolungare la vita delle auto a combustione interna ma questo non significa salvare posti di lavoro, come vorrebbero – a parole – i politici tedeschi (e italiani).

D’altronde, basta guardare come stanno cambiando i mercati globali dell’automobile: Cina e Stati Uniti stanno sostenendo, con generosi incentivi, il mercato dell’auto elettrica, l’unica vera alternativa a emissioni zero al momento esistente. Se l’Europa non si adatterà al più presto a un mercato diretto verso l’elettrificazione dei veicoli (o qualunque tecnologia in grado di raggiungere il traguardo delle emissioni zero), il tentativo di difendere a tutti i costi il motore tradizionale finirà per condannare l’intero settore dell’automotive, e con esso tutti i suoi lavoratori.

Come possiamo giudicare il compromesso raggiunto? Troppo poco, troppo tardi: l’estremo tentativo del governo italiano di tenere aperta la possibilità di utilizzare i biocarburanti dopo il 2035 è fallita. Nella riunione Coreper di ieri gli ambasciatori permanenti presso la Ue hanno deciso di far votare la proposta della Commissione sugli e-fuel nel Consiglio dei ministri dei trasporti e dell’energia, dove ha raccolto i voti favorevoli della maggioranza necessaria.

Chi porta a casa il bottino maggiore è come sempre la Germania, che vince su tutti i fronti portando a casa l’elettrificazione dei trasporti leggeri su strada. Un risultato fortemente voluto dalle case automobilistiche tedesche, che grazie al governo di Berlino sono anche riuscite nell’intento di portare a casa quel segmento “premium” rappresentato dai motori endotermici alimentati a e-fuel. Visti gli alti costi di produzione, i motori che utilizzeranno questi carburanti sintetici saranno infatti indirizzati ad una fascia alta di clientela.

L’Italia aveva chiesto, in sede di Coreper, di rinviare il voto del Consiglio, per avere il tempo di presentare la propria posizione sui biocarburanti. Ma già sabato si era capito che la Commissione aveva molta fretta. Immediatamente dopo che il Commissario Frans Timmermans aveva annunciato l’accordo con la Germania sugli e-fuel, infatti, la presidenza di turno dell’Unione, svedese, aveva inserito la questione all’ordine del giorno del Coreper di ieri. Sottraendo così tempo prezioso all’Italia.

L’intervento italiano si è rivelato tardivo. Certo il risultato del mantenimento dopo il 2035 del motore endotermico alimentato a e-fuel non si può catalogare come un successo, posto che, al momento, quel tipo di veicolo si adatterebbe solo a una ristretta fascia di clientela ad alto reddito.

Intanto si possono trarre un paio di insegnamenti da quanto accaduto. Il primo è che questi iter normativi vanno marcati stretti sin dall’inizio e con molta maggiore determinazione. Per come è concepita, la complicatissima procedura di formazione delle norme europee si presta a molteplici interventi, che hanno almeno tre dimensioni: quella nazionale-governativa, quando si tratta del Consiglio europeo, quella della famiglia politica, quando si parla del Parlamento, e quella politico-burocratica quando si parla di Commissione. Su nessuna di queste dimensioni il governo italiano si è dimostrato in grado di costruire alleanze e strategie.

La posizione italiana, in ogni caso, è estranea ad un disegno di politica industriale. Mentre la Germania è riuscita a tutelare l’alta gamma che da sempre è segmento di punta dell’automotive tedesco, noi abbiamo lanciato sul tavolo una boutade che per ora non trova alcun punto di appiglio sul riposizionamento dell’industria automobilistica, necessario per difendere soprattutto la meccanica e la componentistica italiana.

Nella partita a scacchi abbiamo solo deciso di buttare qualche pezzo per aria, giusto per vedere l’effetto che fa. La sindrome dei balneari colpisce ancora il nostro modo di leggere le istituzioni comunitarie. Sappiamo solo leggere gli interessi del passato per tutelarne le posizioni. Quando dobbiamo guardare al futuro la vista si annebbia, e gli autogol sono dietro l’angolo.