Nel suo trattato sulla tirannide, dopo aver definito chi debba intendersi ‘tiranno’ e quali ne siano i caratteri, Vittorio Alfieri, nel secondo capitolo, affronta direttamente il tema della forma tirannica di governo: ‘Cosa sia la tirannide’. È del potere esercitato in forma assoluta che si parla, e della necessità dei popoli di contrastarla. Senza alcuna illusione che vi possano essere forme di monarchia mitigate e limitate dalle leggi che le distingua dalle tirannidi: “Tralascio ogni ulteriore prova per dimostrare che una monarchia limitata non vi può essere, senza che immediatamente cessi la monarchia; e che ogni monarchia non limitata è tirannide”.
«‘Tirannide’ indistintamente si deve appellare ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a fare ciò, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
E, viceversa, tirannide parimente si deve riputar quel governo, in cui chi è preposto al creare le leggi, le può egli stesso eseguire. E qui è necessario osservare, che le leggi, cioè gli scambievoli e solenni patti sociali, non devono essere che il semplice prodotto della volontà dei più; la quale si viene a raccogliere per via di legittimi eletti del popolo. Se dunque gli eletti al ridurre in leggi la volontà dei più le possono a lor talento essi stessi eseguire, diventano costoro tiranni; perché sta in loro soltanto lo interpretarle, disfarle, cangiarle, e il male o niente eseguirle. Che la differenza fra la tirannide e il giusto governo, non è posta (come alcuni stoltamente, altri maliziosamente, asseriscono) nell’esservi o il non esservi delle leggi stabilite; ma nell’esservi una stabilita impossibilità del non eseguirle.
Non solamente dunque è tirannide ogni governo, dove chi eseguisce le leggi, le fa; o chi le fa, le eseguisce: ma è tirannide piena altresì ogni qualunque governo, in cui chi è preposto all’eseguire le leggi non dà pure mai conto della loro esecuzione a chi le ha create (…).
Ereditaria può essere, ed anche elettiva… Il popolo, in tali governi, pervenuto all’ultimo grado di politica stupidità, vede a ogni tratto, per la morte del celibe tiranno, ricadere in sua mano la propria libertà, che egli non conosce, né cura; quindi se la vede tosto ritogliere dai pochi elettori che gli ricompongono un altro tiranno, il quale ha per lo più tutti i vizi degli ereditari tiranni, e non ne ha la forza effettiva per costringere i sudditi a sopportarlo (…).
Questi assoluti re sanno dunque benissimo, che fra monarchia e tirannide non passa differenza nessuna. Così lo sapessero i popoli, che pure tuttora colla loro trista esperienza lo provano! Ma i principi europei, di tiranni tengono caro il potere, e di monarchi il nome soltanto: i popoli all’incontro, spogliati, avviliti, ed oppressi dalla monarchia, la sola tirannide stupidamente abborriscono.»
Vittorio Alfieri, Della tirannide.