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LE CITAZIONI: Fisher. Futuro del capitalismo e futuro del pianeta

Mark Fisher

by Ernesto Scelza
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Il capitolo da cui è tratta la citazione ha un titolo esplicativo ‘È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo’ e introduce ‘Realismo capitalista’, uno dei più incisivi saggi critici degli ultimi anni: il manifesto politico ed estetico del filosofo inglese Mark Fisher, morto suicida nel 2017, all’età di quarantotto anni. “È davvero più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo? E perché ci siamo ormai assuefatti all’idea che, per dirla con Margaret Thatcher, “non c’è alternativa” al sistema in cui viviamo?” Da queste domande, prende spunto l’analisi di Fisher, che sconta la convinzione che “il capitalismo nella fase del suo sviluppo supremo metta a rischio l’esistenza del pianeta e che qui e ora sia più facile, immaginare la fine del pianeta che non la fine del capitalismo”, appunto.

 

«In una delle scene chiave de ‘I figli degli uomini’, il film di Alfonso Cuarón del 2006, il protagonista Theo fa visita a un amico alla centrale elettrica di Battersea, ormai un incrocio tra un ufficio governativo e una collezione d’arte privata. Tesori come il David di Michelangelo, Guernica di Picasso o il maiale gonfiabile dei Pink Floyd, sono conservati in un edificio che è a sua volta uno stabile storico ristrutturato. Sarà il nostro unico sguardo sulla vita delle élite, rintanate lì dentro per proteggersi dagli effetti di una catastrofe che ha provocato la sterilità di massa: da generazioni, non nascono figli. Theo domanda all’amico che senso ha mettersi a collezionare tante opere d’arte, visto che nessuno potrà più vederle: il pretesto non possono essere le nuove generazioni, per il semplice motivo che non ce ne saranno. La risposta è nichilista ed edonista assieme: “Molto semplice: non ci penso”.

A rendere interessante una distopia come ‘I figli degli uomini’ è il fatto che riflette in maniera puntuale la temperie del tardo capitalismo. Quello che ci troviamo di fronte non è il classico scenario totalitario di titoli distopici come ‘V per Vendetta’, il film di James McTeigue del 2005: d’accordo, nel romanzo di P.D. James da cui è tratta la pellicola di Cuarón la democrazia è sospesa e il paese è retto da un autoproclamato Governatore; ma la sceneggiatura del film, tutto questo lo lascia saggiamente sullo sfondo. Per quel che ne sappiamo, le misure autoritarie che intuiamo dalla trama possono essere state attuate all’interno di una cornice ancora democratica, almeno nominalmente. La cosiddetta guerra al terrore ci ha già preparato a simili sviluppi; la normalizzazione della crisi ha prodotto una situazione nella quale la fine delle misure d’emergenza è diventata un’eventualità semplicemente impensabile: quand’è che la guerra potrà davvero dirsi conclusa?

Guardando ‘I figli degli uomini’ ho inevitabilmente pensato alla frase di volta in volta attribuita a Fredric Jameson o Slavoj Žižek, quella secondo la quale è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. E uno slogan che racchiude alla perfezione quello che intendo per “realismo capitalista”: la sensazione diffusa che non solo il capitalismo sia l’unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un’alternativa coerente (…).

Come gli stessi Marx ed Engels osservarono nel Manifesto del Partito Comunista:

(Il Capitale) ha spento le più celesti estasi del fervore religioso, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo filisteo, nelle fredde acque del calcolo egoistico. Ha trasformato la dignità personale in valore di scambio, e al posto delle tante e inalienabili libertà conquistate a caro prezzo ha stabilito un’unica, spregiudicata libertà: quella del commercio. In una parola, allo sfruttamento camuffato da ragioni politiche e religiose ha sostituito lo sfruttamento più scoperto, spudorato, diretto e brutale.

Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine.»

Mark Fisher, Realismo capitalista.

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