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LE CITAZIONI: Kamel. Prendere posizione

Lorenzo Kamel

by Ernesto Scelza
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‘È giusto prendere posizione?’ è il capitolo conclusivo di quello che una nota editoriale definisce un ‘anti-instant book’ di Lorenzo Kamel, che “in modo accessibile, ma senza rinunciare al metodo storico, all’esperienza sul campo e alle fonti… risponde ai temi cardine legati al conflitto piú lungo della storia contemporanea”. Kamel è titolare dei corsi di Storia del Medio Oriente e del Nord Africa, Storia globale, Studi coloniali e post-coloniali all’Università di Torino, ha insegnato e svolto attività di ricerca in numerosi atenei in Europa, America e Medio Oriente. Ha vissuto a lungo in Israele e in Palestina, dove ha trascorso un anno all’Università di Birzeit.

 

«Tiziano Terzani notò che “i fatti non sono mai tutta la verità (…) al di là dei fatti c’è ancora qualcosa” (‘La fine è il mio inizio’, ndr). Attraverso le sue parole non intendo suggerire che sia sbagliato prendere delle posizioni, non fosse altro per il fatto che in caso contrario lo storico e, di riflesso, il lettore si trasformano in semplici cronisti. Ma prendere posizione, facendo emergere i torti e le cicatrici della storia, non esclude la possibilità di mantenere molti punti interrogativi, che, nel caso del mio lavoro di storico, sono cresciuti di pari passo con la profondità dell’analisi sviluppata.

Simone Weil scrisse che bisogna essere sempre disposti a cambiare di parte per seguire la giustizia, questa eterna fuggiasca dal campo dei vincitori. Penso che avesse perfettamente ragione. Non tanto sulla questione della «parte», per le ragioni che spiegavo poco fa. Simone Weil aveva invece ragione nell’invitarci a non dimenticare che anche se ci occupiamo di alcune tematiche magari da decenni, o lavoriamo sulle fonti primarie, o conosciamo, avendole viste, le cicatrici del presente, dobbiamo sempre essere prima di tutto disposti a mettere in dubbio noi stessi, quello che diciamo e quello che pensiamo. Nel momento in cui le idee che ci facciamo su un certo contesto si trasformano in verità eterne e incrollabili, in quel momento diventiamo noi stessi parte del problema e non di una possibile soluzione.

Diciotto anni fa scrissi un libro nel quale ponevo le seguenti domande: com’è pensabile negare uno “Stato-rifugio” a una popolazione come quella ebraica che ha subíto, soprattutto in Europa, pogrom e persecuzioni con una continuità storica senza precedenti? Com’è possibile negare tale Stato sull’unica terra indicata dal loro libro sacro e sulla quale hanno sempre mantenuto una sia pur limitata presenza? È lecito che tale diritto sia preminente rispetto a quello di una popolazione autoctona che, all’inizio dello scorso secolo, rappresentava circa il 92 per cento degli abitanti locali e che è vissuta in larghissima parte in quei luoghi da tempo immemore? È giusto che persone di religione ebraica di origini russe, americane o italiane, colte da “una folgorazione biblica in mezzo al traffico delle loro metropoli”, possano contare su un “diritto al ritorno”, mentre ciò non viene contemplato per i palestinesi? Un giovane o comunque un qualsiasi cittadino israeliano nato su quel suolo dopo la fondazione dello Stato d’Israele, perché dovrebbe considerarsi un “illegittimo forestiero” o un immigrato tra i confini dello Stato nel quale si è trovato a nascere? Per quale motivo viene sovente normalizzato il fatto che centinaia di migliaia di palestinesi ai quali sono stati sottratti villaggi e case abbiano meno diritti rispetto… a quel milione di ebrei russi che tra il 1989 e il 1992 – dopo la caduta del muro di Berlino e il disfacimento dell’Unione Sovietica – si sono riversati nello Stato d’Israele senza esserci, in larga parte, mai stati prima? Dove sarebbero dovuti andare gli ebrei perseguitati dal nazismo se già nella Conferenza di Evian del 1938 trentasette Paesi democratici avevano manifestato la loro “impossibilità” ad accogliere i profughi? È giusto rifondare la geografia politica facendo riferimento a frontiere che si presuppone esistessero nell’antichità?

Quando posi queste domande ero poco più di un ragazzo… Ai miei occhi restano comunque significative.»

Lorenzo Kamel, Israele-Palestina – in trentasei risposte.

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