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Le città assetate

La gestione delle acque dolci deve essere una competenza della scienza della città

by Ivan Battista
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Foto by Museo di Roma

 

La crescente domanda di acqua potabile nelle aree urbane è ai nostri giorni, più di ieri, un preoccupante problema. Lo è in particolare in quelle zone urbanizzate dove la disponibilità idrica è limitata o la gestione è, in alcuni casi, volutamente inefficace. Il controllo cittadino e agreste sull’acqua potabile – o comunque pulita – conferisce ad alcuni gruppi criminali il dominio politico sugli abitanti. Le città assetate sono quelle cresciute disordinatamente scavalcando i piani regolatori o quelle in rapido sviluppo demografico ed economico che sfidano le condizioni difficili per garantire un approvvigionamento idrico sostenibile.

Una breve retrospettiva

Fin dall’antichità il problema di avere acqua dolce e pulita da poter utilizzare quotidianamente è stata una afflizione per i nostri progenitori.

Eupalino di Megara, figlio di Naustrofo – siamo nel VI secolo avanti Cristo – fu un ingegnere greco al soldo di Policrate, tiranno dell’isola di Samo. L’isola, con la città principale, Samo per l’appunto, dovette molto alla capacità progettuale di Eupalino e non soltanto per il gigantesco tempio dedicato alla dea Hera e l’imponente palazzo, che in realtà consisteva in una serie di fortificazioni che arrivavano a includere anche il porto con degli enormi moli d’attracco. Samo gli fu debitrice soprattutto per un’opera che la avviò ad uno sviluppo mai visto prima: un acquedotto scavato nelle viscere del monte Kastro per 1036 metri che portò l’acqua pura della sorgente di Agiades fino alla città e ai suoi abitanti. La realizzazione è da intendersi anche come militarmente difensiva poiché, essendo completamente protetta dallo scavo, non poteva essere attaccata facilmente dal nemico che avesse voluto tagliare l’acqua alla metropoli greca.

È stato Erodoto, pur non citandolo con troppa precisione nelle sue “Storie” (3, 60), a tramandarci la notizia di questo capolavoro d’ingegneria geometrica, consentendo dapprima ad archeologi dilettanti tedeschi del XIX secolo di ritrovarlo e, in seguito, ad archeologi professionisti di scoprirlo del tutto e renderlo celebre nel mondo. Oggi l’opera è meta di pellegrinaggio turistico.

Eupalino, con la sua straordinaria competenza in geometria, riuscì a progettare la realizzazione di un tunnel scavato a forza di braccia, partendo da entrambi i due estremi, uno a monte e uno a valle. Ovviamente con gli strumenti dell’epoca le due gallerie avrebbero potuto non incontrarsi nel punto esatto dei loro scavi. Il genio dell’ingegnere greco, per non correre rischi, nel punto previsto dell’incontro, a livello del piano orizzontale, fece deviare lo scavo meridionale a destra e quello settentrionale a sinistra, realizzando così la parte finale dei due trafori in un breve corridoio obliquo che li unì entrambi.

Nel piano verticale, poi, la possibilità che i due trafori non s’incontrassero poteva sempre accadere, ma Eupalino attuò questo stratagemma: alzò il soffitto dello scavo a monte e abbassò il pavimento dello scavo a valle. Incredibile a dirsi, però, questa precauzione non servì a molto, perché le rilevazioni moderne hanno stabilito che l’apertura verticale dello scavo riporta un errore di soli 4 centimetri. Se si considera che questo straordinario ingegnere non poté avvalersi di strumenti tecnici come quelli attuali né dei difficili calcoli della moderna geometria analitica né, tantomeno, di quella euclidea che sarebbe venuta secoli dopo, c’è da restare ammirati per la bravura con la quale operò centinaia d’anni prima di Cristo.

In realtà tutte le civiltà, con lo sviluppo dei loro grandi assembramenti urbani, hanno avuto bisogno di ingenti quantitativi d’acqua dolce per garantire e far prosperare la vita. Da quella sumera a quella egiziana, da quella greca a quella romana, la necessità di poter contare su cospicui flussi di acqua dolce e potabile era conditio sine qua non per la loro stessa esistenza.

La situazione attuale

Ai nostri giorni, ad esempio Paesi con grave scarsità idrica bevibile come Israele, gli Emirati arabi, il Qatar, il Kuwait, l’Arabia saudita etc., sono ricorsi a tecnologie piuttosto costose, ma che riescono a garantire la richiesta dei loro centri assetati. La messa a punto di impianti di desalinizzazione dell’acqua marina ha permesso a molte realtà urbane, nate in ambiente desertico, di prosperare anche se, a detta di qualche ambientalista, a discapito dell’equilibrio naturale marino che verrebbe a risentirne parecchio.

Anche gli agglomerati urbani che apparentemente non sembra abbiano bisogno di reperire acqua da bere con metodi costosi hanno le loro buone difficoltà, se non altro relative alla gestione degli impianti idrici che, in molti casi, risultano obsoleti e malamente manutenuti.

L’urbanistica, o per meglio dire la scienza costruttiva della città, non prevede soltanto il progetto planimetrico di disposizione delle varie costruzioni o della viabilità cittadina. Per costruire una città è condizione essenziale predisporre canali e tubazioni che portino, dalle sorgenti e dagli accumuli idrici disponibili, acqua potabile sufficiente alle esigenze degli abitanti previsti. Ad esempio, la città di Los Angeles negli Usa per far fronte alla richiesta di acqua potabile avviò lavori, su progetto di William Mulholland (un irlandese di Belfast trasferitosi negli Stati Uniti e ingegnere autodidatta), per un acquedotto che fu terminato nel 1913. La struttura progettata da Mulholland trasportava acqua dalla Sierra Nevada alla metropoli per mezzo di un sistema di canali, di tunnel e di bacini idrici d’accumulo. Ovviamente, come tutte le azioni che intervengono sull’ambiente, anche se ben progettate, la realizzazione dell’acquedotto di Los Angeles ha prodotto effetti ambientali e sociali piuttosto dolorosi, soprattutto per la valle di Owens. Inoltre, ha generato controversie etiche e legali connesse all’acquisizione dei diritti idrici di sfruttamento. Nonostante il continuo impegno, Los Angeles tutt’oggi sta fronteggiando una crescente richiesta di domanda d’acqua con relativa pressione sulle infrastrutture idriche e difficoltà di soddisfare la sua popolazione. Difficoltà di soddisfazione dovuta anche a ricorrenti periodi di siccità a causa del cambiamento climatico.

L’acqua a Roma

Spostandoci in Italia, la città di Roma, la più estesa d’Europa dopo l’uscita dalla Ue di Londra, pur avendo a disposizione molte più possibilità di rifornimento idrico rispetto alla città californiana, non brilla per gestione saggia e competente. La perdita dell’acqua romana subisce una percentuale inaudita per gli standard mondiali, dovuta a strutture obsolete che andrebbero aggiornate se non quanto meno riparate.

D’altronde Roma con l’acqua ha sempre avuto un rapporto ambivalente, soprattutto col suo fiume: il Tevere. Dopo l’alluvione del 28 dicembre 1870, l’ingegnere romagnolo Alfredo Baccarini, all’epoca ministro dei lavori pubblici, intimo amico di Giuseppe Garibaldi ed esperto in canalizzazioni idrauliche e bonifiche, fu coinvolto dall’eroe dei due mondi nel progetto di deviazione del corso del “biondo fiume”. Il progetto consisteva nella deviazione del corso del Tevere a est dell’Urbe per farlo ricongiungere più a valle con una previsione di bonifica delle campagne romane e ricreare un porto somigliante a quello antico di Traiano. Lo scopo era di evitare ulteriori piene e salvare Roma da esondazioni tanto dannose per la salute dei Romani quanto per l’economia della città. Il progetto di Baccarini e Garibaldi fu tralasciato a favore di quello più economicamente percorribile, e sostenuto dai Savoia, dell’ingegnere romano Raffaele Canevari. Canevari era anche lui esperto di canalizzazioni idriche di adduzione, famosa resta quella di Firenze (1869). Il suo progetto per Roma prevedeva la realizzazione di enormi “muraglioni” a golene per il contenimento definitivo del fiume (1876-1901). Ancor oggi, quando passeggiamo sui lungotevere restiamo impressionati dall’imponenza di queste mura fluviali di limitazione. Da allora, la città eterna non ha avuto più grossi problemi di esondazioni nel tratto più centrale della sua urbanizzazione.

Quanto all’acqua potabile, nel passato Roma non ha mai dovuto fronteggiare problemi di rifornimento idrico, grazie anche alla straordinaria competenza dei suoi ingegneri, costruttori di acquedotti. Ancor oggi possiamo rintracciare almeno ventitré sorgenti per lo più nella zona centrale dell’urbe. Le chiare acque di queste vene fornivano portata ad antichi torrenti quali l’Amnis Petronia (tra il Pincio e il Quirinale) e lo Spinon (tra il Campidoglio e il colle Oppio).

Acqua marcia, Acqua vergine, Acqua acetosa, Acqua Egeria sono soltanto alcune fonti acquifere, tra le tante, che possiamo annoverare nel territorio romano. Roma, non a caso, è diventata una città così estesa e potente. La sua voluminosa portata d’acqua ha sancito il suo sviluppo straordinario. Eppure, attualmente presenta alcune criticità dovute ad una cattiva gestione da parte della società responsabile del trattamento e della distribuzione dell’acqua. Ancora nel 2025, alcuni quartieri della capitale d’Italia soffrono per una difettosa erogazione del prezioso liquido.

Guardando avanti

Crescita demografica e urbanizzazione incontrollata, gestione inefficiente voluta e non voluta, inquinamento, siccità e cambiamento climatico sono tra le principali cause che affliggono le città assetate.

Sarà vero che le prossime guerre si combatteranno non più per il petrolio o le terre rare, ma per l’acqua potabile?

Possibili soluzioni possono essere: la desalinizzazione dell’acqua marina, il riutilizzo intelligente delle acque reflue, l’adozione su larga scala di tecnologie che riducano il consumo idrico e una ottimale gestione delle risorse a disposizione. Tutto questo, però, non può essere lasciato al caso o alla libera, e comoda, interpretazione di alcuni poteri decisionisti non preparati.

La gestione delle acque dolci deve essere una competenza della scienza della città, conferita nelle mani di ingegneri pubblici capaci, in grado di progettare e prevedere con anticipo le necessità nonché le urgenze idriche urbane a tutto beneficio delle genti che abitano e vivono nei quadranti e nei quartieri di centri sempre più “assetati”.

 

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