Il piano di riarmo dell’impero zarista promosso dal primo ministro è un elemento cruciale per comprendere la politica estera russa all’alba della Grande Guerra.
Dopo il trauma della sconfitta nella guerra russo-giapponese, Stolypin era consapevole dell’incapacità dell’impero di affrontare e sostenere un’eventuale guerra; il suo progetto era quindi quello di mantenere un profilo basso in campo estero, per consentire un periodo di pace sufficiente alla riorganizzazione militare dell’esercito. In linea con il suo piano, il premier diede disposizione ai ministri, in particolare a Izvolsky ministro degli esteri, di non cedere a provocazioni internazionali.
Il corso degli eventi però non permise l’attuazione del programma di Stolypin e i 20 anni di pace che il ministro aveva richiesto per trasformare l’impero non si ebbero mai, e la Russia si trovò a combattere la Prima Guerra Mondiale del tutto impreparata. Nel 1908, infatti, Izvolsky intavolò trattative segrete ed informali con il ministro degli esteri austriaco von Aehrenthal circa l’assetto dell’area balcanica, interessata in quegli anni da movimenti nazionalisti che rivendicavano l’indipendenza dall’Impero Ottomano.
In quegli anni l’Impero Asburgico deteneva un protettorato sulla Bosnia Erzegovina ma nutriva l’ambizione di annetterla per spostare sempre più il baricentro dell’impero verso i Balcani. La strategia di von Aehrenthal fu quella di promettere l’accesso agli stretti del Bosforo e Dardanelli alla marina militare russa, all’epoca nelle mani dell’impero britannico, in cambio del riconoscimento russo dell’annessione austriaca della Bosnia Erzegovina. Spingendo il ministro zarista a credere di avere l’approvazione inglese a cedere gli stretti, l’Austria ottenne il riconoscimento dell’annessione, ma la Russia, nonostante il suo appello alla comunità internazionale, non ottenne ciò che le fu promesso.
La prima reazione all’annessione partì dalla Serbia, storicamente protetta dall’Impero zarista, che protestò duramente; nel 1909 però la Germania, alleata dell’Austria, minacciò San Pietroburgo con un ultimatum, intimandogli di riconoscere l’annessione e non supportare le pretese serbe. Non essendo ancora in grado di sostenere uno scontro militare, soprattutto con la potente Germania, l’impero fu costretto ad accettare le condizioni tedesche incassando un’umiliante sconfitta diplomatica. Oltre a dover provvedere alla sostituzione del ministro degli esteri, la Russia si ritrovò nella posizione di non potersi permettere un’ulteriore umiliazione internazionale, e quando arrivò il momento non poté tirarsi indietro.
Sulla scia dei fermenti nazionalisti, nel 1912 scoppiò la prima guerra balcanica, combattuta tra l’Impero Ottomano e la neonata Lega Balcanica, che vedeva un’alleanza tra Serbia, Bulgaria, Romania e Grecia in funzione appunto antiturca. La Turchia subì una feroce sconfitta soprattutto per mano del potente esercito bulgaro, che avanzava sempre più a fondo nei territori ottomani con l’obiettivo di raggiungere gli stretti. Per evitare che la Bulgaria si impossessasse di un’area di cruciale importanza, le potenze europee e la Russia fermarono la sua tenace avanzata, preferendo gli stretti nelle mani di un Impero Ottomano ormai visibilmente debole.
Contraria all’annessione di gran parte della Macedonia nello stato serbo, e potendo contare ancora sul suo forte esercito, la Bulgaria diede il via nel 1913 alla seconda guerra balcanica; in questa occasione la lega si sciolse e tutti presero le armi per contrastare i bulgari.
Si vedrà prossimamente che il fulcro della Grande Guerra sarà proprio l’area balcanica e il suo rapporto con l’Austria-Ungheria, che contava al suo interno importanti minoranze serbe, croate, slovene e rumene, ma non bisogna ovviamente dimenticare il ruolo della Germania.
Per capire la posizione del Secondo Reich è importante tener presente la saldatura della Triplice Intesa nel 1907 tra Francia, Gran Bretagna e Impero Zarista, avvenuta in seguito alla delineazione delle aree di influenza tra inglesi e russi in Asia (il grande gioco). Circondata ad ovest dalla Francia, ad est dalla Russia e bloccata sui mari dalla flotta inglese, la Germania nutriva sempre più il bisogno del suo “spazio vitale” (Lebensraum); resa forte dalla sua economia galoppante e dall’imponente sviluppo dell’industria pesante, Berlino sfruttò gli attriti dell’alleata Austria per mettere in campo il suo esercito.
In seguito a questa analisi sarà forse più chiaro quando, nel prossimo articolo, si adopererà la famosa espressione della “goccia che fa traboccare il vaso” per segnare l’inizio della Grande Guerra. L’assassinio dell’arciduca Ferdinando, erede al trono austriaco, fu infatti solo un pretesto per dare il via a quella che era una guerra ormai promessa da anni. Nel periodo della Belle Époque, infatti, tutti gli stati europei avevano conosciuto anni di sviluppo economico e tecnologico, e molte delle loro fortune erano state destinate all’ampliamento dei propri arsenali militari, spesso indotti dal fatto che qualche vicino aveva già investito nel proprio esercito. Ci sono disparate testimonianze di alti generali tedeschi che ragionavano sul momento più opportuno per scendere in campo, consci della grande forza del proprio paese, ed è proprio l’elemento della potenza tedesca che ha fatto si che si individuasse nella Germania la responsabile della guerra.
A rigor di logica però è opportuno riconoscere che, nonostante le intenzioni bellicose del Secondo Reich, gran parte delle responsabilità ricadono sulla gestione austriaca dei movimenti nazionali interni e esterni al suo impero, e più in generale sulle politiche di potenza messe in atto da tutti i grandi stati europei.
Oggi si sentono spesso parallelismi sull’odierna corsa agli armamenti prospettata dall’Unione Europea e quella dei primi anni del Novecento; premettendo che non è di nostra competenza fare previsioni su quello che appare essere un futuro incerto, è però sicuramente un dato di fatto che la percezione del pericolo, fondato o meno che sia, induce gli stati ad armarsi e ad essere diffidenti l’uno nei confronti dell’altro.
Questo è ciò che in gran parte accadde alle soglie del 1914 e che ci si augura non si verificherà nuovamente ai giorni nostri.