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L’Europa e la scommessa sulle rinnovabili

by Piero Mattirolo
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L’Autore è esperto di bioenergie e si occupa di advocacy delle energie rinnovabili. Consulente di associazioni di settore, ha partecipato a vari tavoli – italiani ed europei – di indirizzo legislativo nel campo del biogas e del biometano.

 

Al termine della conferenza COP 26 di Glasgow, sulla lotta al cambiamento climatico, le opinioni divergono, se si possa più propriamente parlare di un successo o di un insuccesso.

Ma limitando il punto di osservazione a quanto ci tocca da vicino, la scommessa di lungo periodo fatta propria dalla UE sulle rinnovabili, con l’obiettivo della sostituzione totale di ogni altra fonte energetica, per arrivare a emissioni 0 entro il 2050, è sicuramente una sfida affascinante.

È comprensibile lo scetticismo di chi teme che le economie europee non riusciranno a mantenere la propria competitività per gli alti costi energetici che ne deriveranno, ma le variabili in gioco, che potrebbero mitigare o annullare questo svantaggio, sono tante: la velocità dello sviluppo tecnologico, che consentirà maggiori efficienze sul fronte degli accumuli, come su quello del trasporto e della gestione dell’energia; i tempi con cui questa transizione si effettuerà, oltre, naturalmente, alla capacità dell’industria di recuperare efficienza.

Questa transizione vedrà come protagonista il gas, che ha un ruolo strategico in un’ottica di complementarità con la produzione elettrica, perché le reti gas e quella elettrica dovranno sempre più essere considerate come parti di un unico sistema (v. schema in alto).

L’elettricità da fonti rinnovabili ha dimostrato la sua competitività economica nel campo del fotovoltaico e più ancora in quello eolico. Il solo limite è dato dai costi di trasporto e dalle relative inefficienze: il costo di produzione a kW è crollato e continuerà a scendere con l’aumento dell’efficienza. Ma i costi di trasporto e di sistema incidono molto di più del costo di produzione. Di fatto, il basso costo a kW vale sempre solamente quando l’elettricità prodotta viene utilizzata immediatamente sul posto. Nel momento in cui l’elettricità deve essere utilizzata in un tempo successivo o trasferita altrove, emergono i costi di stoccaggio e di trasporto, dovuti alla dispersione di energia nel processo, come pure agli investimenti necessari per le infrastrutture relative.

Perché si tratta di fonti non programmabili e la loro gestione comporta la necessità di reti sempre più “intelligenti”, ossia in grado di compensare l’instabilità della produzione a fronte della variabilità meteorologica.

Mentre l’energia elettrica è soggetta a questi limiti strutturali, al contrario, il gas non presenta grossi problemi di stoccaggio e non ha elevati costi di trasporto. Il ruolo del gas diventa così quello di buffer, ossia di cuscinetto di compensazione. Dal gas si può produrre elettricità quando non vi è in rete sufficiente produzione eolica e fotovoltaica. Per converso, quando queste fonti producono più elettricità di quanta la rete è in grado di consumare, è possibile produrre idrogeno per elettrolisi dell’acqua e, se non lo si può utilizzare sul posto (l’H è molto difficile da stoccare perché permea quasi tutti i materiali), è possibile con processi di metanazione biologica (con particolari impianti di biogas alimentati a idrogeno) unire idrogeno all’anidride carbonica per ottenere metano perfettamente adatto ad essere immesso nella rete gas.

In tutti questi passaggi, da gas ad elettrico e viceversa, ci sono sempre delle considerevoli perdite di efficienza. La grande sfida è quindi nello stoccaggio: se ci saranno grandi sviluppi tecnologici nelle batterie, la battaglia sarà vinta dall’elettrico su tutti i fronti.

Ma nella fase di transizione verso un’elettricità totalmente rinnovabile, integrata magari un domani con un nucleare pulito, il gas sarà quindi di fondamentale importanza.

L’ultimo interrogativo riguarda i costi: le rinnovabili hanno dimostrato buona capacità di ridurli, grazie allo sviluppo tecnologico, e la scelta dell’Europa di rafforzare la leadership mondiale, che già detiene, è molto opportuna. Ovviamente non si raggiungeranno questi obiettivi in un attimo, ma se si affermerà il principio che chi inquina paga, con la carbon tax, si potrà costringere cinesi e indiani a giocare ad armi pari.

Nel settore dei trasporti, il ruolo del bioGNL è molto importante soprattutto nella transizione verso l’elettricità come fonte primaria. Tuttavia, in campo automobilistico, a livello europeo (e potremmo dire mondiale, vista la leadership che abbiamo), il biometano non è stato scelto come via prioritaria per questa transizione, nonostante goda dei vantaggi di un’infrastruttura praticamente pronta ed esistente (soprattutto in Italia), per due ordini di motivi:

1) costa, nonostante tutti gli aumenti del metano fossile, da 3 a 4 volte di più, almeno fintanto che le esternalità negative di quest’ultimo non verranno penalizzate economicamente.

Ma, probabilmente più importante di tutto,

2) non consente, in tutte le più rosee e irrealistiche previsioni, di sostituire il metano fossile in quantità significative (non oltre il 10-15%).

Questo fa sì che non ci sia stata alcuna spinta a preferire il biometano nell’autotrazione privata. L’Italia ha un’importante infrastruttura distributiva, ma in Europa è unpo’ come la guida a destra degli inglesi: non è stata seguita. È stato scelto un approccio alle emissioni “tail-to-wheel”, ossia basato sul confronto delle emissioni sul veicolo, contro il “well-to-wheel”, che tiene invece correttamente conto degli impatti ambientali di tutta la filiera. In quest’ottica, il biometano è perdente rispetto al full-electric. Nessun costruttore automobilistico ha scelto di investire un centesimo per lo sviluppo di ulteriori modelli a metano: stanno andando tutti a finire, anche se i costruttori meglio posizionati, come il gruppo VW, saranno gli ultimi ad abbandonarlo del tutto.

Diverso è il caso dell’autotrazione pesante, dove il gas liquefatto offre decisivi vantaggi ambientali rispetto al diesel e dove la trazione elettrica non è ancora praticabile. Qui il biometano liquefatto sta crescendo insieme al fossile liquefatto e sicuramente rappresenterà il ponte verso il futuro.