Professore, si parla di un’industria 4.0. Ma ci sono state veramente tre precedenti rivoluzioni industriali?
Sì. La prima quando si è capito che si poteva utilizzare il vapore acqueo. La seconda quando si è iniziato a produrre energia elettrica. La terza è quella che in Italia stiamo ancora vivendo, internet. La quarta è rappresentata dall’estrema sofisticatezza della tecnologia che oggi ci consente di far parlare le macchine tra di loro, di analizzare molti dati e ricavare informazioni, di produrre robot molto intelligenti, di sviluppare intelligenza artificiale anche sui nostri telefonini. Tutto questo non determina solo un cambiamento tecnologico ma una modifica dei modi della produzione. Il rapporto uomo/macchina è completamente diverso dal passato e l’uomo torna al centro della realtà industriale.
L’Italia che ruolo svolge in questo contesto?
Modesto. Non abbiamo ancora un sistema industriale molto avanzato. L’industria 4.0 è nata in Germania cinque anni fa. In Italia c’è un piano nazionale di investimenti, che non so se andrà avanti, ma non è una trasformazione solo tecnologica. Oggi nel mondo si sta assistendo ad una reindustrializzazione, con un sistema di impresa completamente diverso.
Lei ha sostenuto la necessità di una regia di politica industriale forte e di una maggiore attenzione al mondo della ricerca. La Regione e le università campane fanno qualcosa in questa direzione?
Ritengo che tutto il Paese non faccia molto. L’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. Abbiamo il minor numero di ricercatori, investiamo in ricerca l’1,2% del PIL e i tedeschi il 3%, la media europea è del 2,2%. Non c’è una grande attenzione della politica verso quello che sarà il principale elemento di spinta e di competitività, cioè la smaterializzazione dei prodotti che consente valori aggiunti molto elevati.
Anche la Regione Campania non fa molto. Non sono stati ancora attivati i fondi dell’attuale Quadro Comunitario di Sostegno, mentre l’Europa sta già preparando il prossimo. Da noi non è partito ancora nessun bando. Il Quadro è del nel 2014, scadrà nel 2020 e siamo ormai al 2018.
Anche se la politica facesse bene il suo lavoro, a Napoli ci sono problemi strutturali che richiedono tempi lunghissimi.
È vero, però più ci avviamo verso l’industria della conoscenza più l’elemento infrastrutturale conta meno, perché il valore aggiunto è tale da assorbire i sovra costi. Il problema è che non abbiamo una classe dirigente industriale di grande livello. Se andiamo a Milano ci accorgiamo subito di essere in un mondo che corre, Napoli invece ha difficoltà a competere, per colpa della burocrazia, della mobilità, di tanti problemi tra i quali una scarsa presenza di investitori e imprenditori.
Se si riuscisse a fare una politica adeguata, dato che le università producono ancora laureati bravi, potrebbe essere un elemento di attrazione per le multinazionali. Questo ha portato alcune università indiane ad essere catalizzatori di investimenti e favorire la creazione di centri di eccellenza.
Cosa dovrebbe fare il rettore Manfredi?
Lui fa un buon lavoro, perché continua a produrre ragazzi bravi e competitivi. La fuga dei cervelli parte dal fatto che i cervelli ci sono e quindi significa che la nostra università funziona.
Cosa pensa dell’iniziativa Apple?
È interessante perché dà maggiore possibilità di sviluppare la propria conoscenza. Non forma necessariamente degli occupati. Se localmente non abbiamo chi possa utilizzare questi giovani avremo ulteriori fughe.
Il polo universitario di San Giovanni ha avuto un senso o è una cattedrale nel deserto?
Diciamo che sta avendo un senso. Questo Polo rappresenta un concetto avanzato di università, un luogo dove si formano i professionisti, ma soprattutto l’unico sito accademico dove le imprese sono accettate bene e collaborano con l’università. E’ molto diverso da un incubatore, è un posto dove il mondo che produce conoscenza e il mondo che la usa sono vicini, quindi si riducono i tempi di trasformazione della conoscenza in prodotto.
Oggi lei è anche imprenditore. Ci parli della sua start up Materias.
È un’azienda che cerca di colmare il gap tra il trovato e l’impresa, quello che gli americani chiamano la valle della morte. Quando un ricercatore riesce a raggiungere risultati scientifici di alto livello che potrebbero essere applicati, spesso per passare all’applicazione sono necessarie risorse per creare prototipi. Quindi abbiamo raccolto fondi da due investitori privati, abbiamo individuato una ventina di tecnologie, su otto delle quali abbiamo anche dei brevetti, che hanno un forte potenziale di crescita e su queste stiamo investendo.
Noi ci consideriamo un’eccellenza nell’aerospazio, ma è vero?
Questa è una domanda complessa. La nostra è stata sicuramente un’area in cui l’aerospazio ha rappresentato una realtà industriale di grandissimo livello. Il rapporto tra l’Aeritalia di una volta, poi Alenia, da ultimo Leonardo, con la Boeing è stato molto forte. Abbiamo sicuramente perso alcuni treni. Il consorzio Airbus tra Francia e Germania avrebbe potuto comprendere l’Italia. La costruzione del 787 a Grottaglie poteva avvenire in Campania, a Grazzanise che però non era pronta. Attualmente non abbiamo ancora molto chiara quale sia la politica di Leonardo, se vuole muoversi in una direzione di sviluppo o mantenersi subfornitore. Questo determinerà lo sviluppo o meno del comparto aerospaziale.
Lei è ancora presidente della Fondazione Carditello, a proposito della quale si parla di binomio tra legalità e cultura. In che senso?
La Fondazione cura principalmente lo sviluppo e la fruizione del Real Sito cercando di mantenerne la funzione originaria di fattoria modello per lo sviluppo della razza equina dei Persani, adatti alla guerra, della mozzarella, prodotta per la prima volta proprio a Carditello, ed altro. Stiamo lavorando per completare il restauro ed avviare le attività operative. Ci sarà una zona museale, una zona per la legalità che accoglierà un gruppo di Carabinieri, le scuderie e uno spazio per l’università dedicato ad Agraria.
Lei ha guidato anche Città della Scienza, come commenta l’attuale crisi?
Sono sempre stato convinto che bisognasse dividere le attività. Quella museale non può autosostenersi, ha bisogno di finanziamenti pubblici stabili. Poi ci sono altre attività più commerciali che possono essere autonome. In questo modo i finanziamenti pubblici restano alle sole iniziative culturali. Leggo oggi di litigi e divisioni e sono dispiaciuto perché questa è la premessa per far morire un’istituzione importante per la città, nata, come l’Istituto per gli studi filosofici, da un’intuizione personale di personaggi illuminati che però non si sono resi conto che, una volta cresciuta la creatura, era necessario trasferire la gestione allo Stato.
In conclusione, devo chiederglielo. Non torna in politica?
No, no. Ho imparato molto dalla politica. Sono stato assessore regionale, poi Ministro, quindi deputato, infine mi sono dimesso, prima di raggiungere il vitalizio, per fare il presidente del CNR. È un’esperienza conclusa.