Festeggiamenti napoletani a Milano
Non è stato il quarto scudetto del Calcio Napoli, solo un trofeo sportivo, piuttosto il frutto maturo di una stagione felice per tutta la città. In crescita, con tassi di ‘insicurezza’ mai così bassi da decenni, insediamenti di centri di ricerca e di imprese innovative di prim’ordine, fermento culturale in tutti i campi, dalla musica al cinema, alle arti visive, alla narrativa e alla filosofia, boom del turismo, un brand oggi tra i più quotati nel mondo. La decisione di tenere qui tra due anni la 38° edizione della America’s Cup, la più prestigiosa competizione velica del mondo, non è stata un caso fortunato. È stata frutto del lavoro della classe dirigente della città, che ha potuto avvalersi della odierna, riconosciuta attrattività del brand Napoli.
È in questo contesto che si sono inserite le due perle di McTonimay e di Lukaku nel match di ieri al Maradona. Due opere d’arte, come si addice alla Napoli di questi anni ‘20. Da mettere in museo. Il museo del Calcio Napoli che sarebbe pur ora di realizzare.
Ha ragione il coriaceo mister Conte, a luglio scorso era inimmaginabile lo scudetto già da quest’anno. Tutt’al più gli ottimisti pensavano al prossimo anno o all’altro ancora. La squadra doveva essere rifondata ex novo e per queste cose occorre tempo. Viceversa l’exploit, il quarto scudetto sudato fino a venti minuti dal triplice fischio di Della Penna in Napoli-Cagliari. Un po’ miracolo, un po’ frutto del lavoro.
La trentasettesima giornata era stata vibrante, da non raccomandare ai cardiopatici. Chi si fosse trovato al primo posto della classifica dopo quei tremendi novanta minuti avrebbe vinto i titolo al 99%. A pochi minuti dalla fine gli azzurri annaspavano contro il Parma e l’Inter era in vantaggio contro la Lazio. Al novantesimo l’Inter ancora vinceva 2-1 e il Napoli era inchiodato sul pareggio. Era quasi finita, lo scoramento tra gli azzurri in campo, in panchina e sugli spalti si poteva toccare.
E invece il colpo di scena che solo Eupalla riesce a pensare, Bisseck, talentuoso difensore dell’Inter e autore del primo goal della sua squadra, su una palla in area allarga il braccio in modo maldestro. Rigore! Pedro, l’ormai mitico Pedroper noi napoletani, la mette dentro. A Parma viene negato agli azzurri un rigore enorme. I nerazzurri, spinti da Acerbi, assaltano l’area laziale con Dumfries e Arnautovic sugli scudi. L’austriaco la mette anche dentro. Oddio, che sta succedento a San Siro! No, è fuorigioco, evvaiiiii!
Le palpitazioni di domenica 18 maggio non saranno dimenticate più dalla città di Napoli. Potete giurarci.
Questo quarto scudetto ha il sapore del primo. Ero al San Paolo quel giorno, tribuna laterale A, quando el D10S e Ottavio Bianchi resero per la prima volta i Napoletani orgogliosi di sè, fieri del loro riscatto. Piansi, mi girai attorno e piangeva mio padre, piangeva mio fratello, piangevano Salvatore Pica e Dario Guardasole, Severino Nappi e Giulio Abbamonte, piangeva tutta la laterale, tutto lo stadio.
IL secondo scudetto maradoniano, allenatore il mite Bigon, fu più scontato. Come lo è stato quello di Spalletti, il primo dell’era De Laurentis. Gli azzurri avevano in tascail terzo scudetto già a dodici giornate dalla fine. Al punto che neanche gli scazzi tra il mister e il presidente e i casini nello spogliatoio, pur determinando un clamoroso calo delle prestazioni, impedirono di alzare la coppa.
Questo, il quarto, invece non è mai stato al sicuro. Amma faticà, aveva detto il mister appena messo piede al campo di Carciato, Dimaro, al suo primo allenamento; e i guagliuni hanno faticato tutto l’anno. La rosa non era numerosa, né dello stesso livello tra titolari e panchina. A gennaio poi vanno via anche Caprile e nientedimeno che il funambolico Kvaraskelia. Poi infortuni uno dietro l’altro: Buongiorno, il nuovo Kim; Jesus, campione resuscitato, nomen omen; Neres, il solo capace di saltare l’uomo; Lobotka, il metronomo del centrocampo; il leone Anguissa; quante assenze. Ce l’avrebbero fatta gli Olivera adattati al centro, i Gilmour, i Mazzocchi e Rafa Marin, lo Spinazzola spostato in avanti, il topolino Raspadori a supplire alle assenze? Ce l’hanno fatta. Di più, hanno approfittato delle assenze dei titolari per sbugiardare quanti li avevano già liquidati come poca roba.
Tra tutti è emerso, gigantesco, McTonimay, difensore aggiunto, incontrista a centrocampo, trequartista dietro la punta, goleador, trascinatore e allenatore in campo. Tutto in ogni partita. Strepitoso!
Ora il Napoli pare che cerchi De Bruyne, immenso campione. Dovrà vedersela con McFratm. Dovrà faticarsela anche lui. Sempre che arrivi, naturalmente.
Non possiamo sottacere una nota malinconica in chiusura. Quanto è stato brutto lo stentato abbraccio di Conte ai De Laurentis padre e figlio a festa in corso. Neanche li ha guardati negli occhi, faccia girata e occhi abbassati. Ma accidenti a te. Avevi chiesto tu Lukaku, McTonimay, Gilmour, Buongiorno e Neres e il presidente te li ha presi; hai voluto al tuo fianco Lele Oriali, Sandreani, tuo fratello e un numeroso e qualificato team di preparatori e di analisti e ti sono stati dati; hai indicato il tuo amico Manna come uomo-mercato e lo hai avuto; hai diffidato l’istrionico ADL dal mettere piedi nello spogliatoio e ADL – chissà quanto ci avrà sofferto a tenersi – si è attenuto. Ma per la miseria, da dove ti viene tanta acrimonia?