fbpx
Home In Italia e nel mondo Meno parlamentari più democrazia?

Meno parlamentari più democrazia?

by Luigi Gravagnuolo
0 comment

La riduzione del numero dei parlamentari è dunque legge costituzionale.

In verità potrebbe essere ancora richiesto il referendum confermativo, ma chi oserà chiederlo? Potrebbero farlo un quinto dei membri di una Camera, o cinque Consigli regionali, o cinquecentomila elettori. Do per scontato che nessuno della casta, cioè dei parlamentari nazionali o regionali, si azzarderà a farlo. Ci saranno cinquecentomila italiani pronti a sottoscrivere i moduli di richiesta? E chi prenderà l’iniziativa? Chiudiamola qui, diamola per fatta e ragioniamo nel merito.

Questa riforma fa acqua da tutte le parti. Concepita per gettare un osso al rabbioso popolo anticasta, essa consiste in un mero taglio numerico: invece che 630 deputati, dalla prossima legislatura ce ne saranno 400; e invece di 315 senatori ne saranno eletti 200. Tutto qui. Quali le conseguenze?

Quella su cui si è ragionato meno in questi giorni è l’ampliamento esagerato delle possibilità di incidenza del Presidente della Repubblica nella formazione delle leggi. Ciò in palese contrasto con lo spirito della costituzione. I Senatori della Repubblica, infatti, non sono 315, ma questi più i senatori a vita, nominati a propria discrezione dal Quirinale. Oggi, ad esempio, i senatori sono 321, 315 eletti dai cittadini più sei a vita. E, con le maggioranze risicate che da tempo caratterizzano la compagine del Senato, il voto dei sei senatori a vita è già stato in più di un caso determinante per l’approvazione o la bocciatura di una legge. Quanto inciderà di più questo ‘Partito del Presidente’, non espressione del voto popolare, in un Senato di 200 eletti?

Calcolemus. Supponiamo che, a seguito del voto popolare, alla maggioranza venga attribuito il 53% dei seggi in Senato. Se i senatori eletti sono 315, la maggioranza conterà su 167 voti, l’opposizione su 148. Lo scarto sarà di 19 voti. Se i sei senatori a vita si aggiungessero ai 148 dell’opposizione, farebbero 154 voti. La maggioranza avrebbe ancora 13 voti di vantaggio.

Supponiamo ora che gli eletti siano, come saranno, duecento. Il 53% della maggioranza fa 106 senatori; all’opposizione ce ne saranno 94. Se a questi aggiungiamo i sei senatori a vita, l’opposizione arriverà a 100 voti contro 106. Tre, quattro della maggioranza che si asterranno o che non si presenteranno in aula ed il voto popolare sarà bello che stravolto.

Il legislatore ha provato a metterci una pezza, modificando l’art. 59 con l’indicazione che il numero massimo di senatori a vita non potrà essere mai superiore a cinque. Ma attenzione, si tratta dei senatori nominati dai Capi dello Stato, con esclusione di quelli di diritto, cioè degli ex Presidenti. Il novellato art. 59 della Costituzione recita: “Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque” [sottolineatura mia]. Dunque, cinque nominati più i presidenti emeriti; nel caso di oggi, cinque più Giorgio Napolitano.

A Giorgio Napolitano vogliamo bene. Se, come ci auguriamo di vero cuore, nel 2022 egli sarà ancora in vita, una volta eletto il nuovo Presidente, potremmo avere 7 senatori a vita: lui, i cinque nominati, più Mattarella. Insomma, nonostante la modifica dell’art. 59, resta il peso abnormemente accresciuto della pattuglia dei non eletti nel Senato. Cinque, o sei, o sette non eletti, considerato che siamo in regime di bicameralismo perfetto, potranno tenere in pugno seicento eletti, i 200 del Senato più i 400 della Camera.

Altre criticità sono già state autorevolmente evidenziate, a cominciare dal deficit di rappresentatività territoriale che verrà a determinarsi. La cosa peggiore è però l’assuefazione di tutto il Parlamento all’idea che con meno parlamentari ci sia più democrazia. Per paradosso, ma con consequenzialità logica, venti deputati e dieci senatori garantirebbero la massima espressione della democrazia. Con minori spese e più efficienza!

Voglio dirla tutta: a parità di riduzione dei costi e di rafforzamento dell’efficienza, la riforma Renzi-Boschi era una cosa molto, ma molto più seria.