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Napoli non ha una classe dirigente all’altezza

Tutto regge per la stabilità delle istituzioni locali. Fino a quando?

by Giovanni Squame
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Foto by Comune di Bologna

 

Napoli, brutalmente, non ha una classe dirigente all’altezza della sua storia, del suo presente e del futuro che si annuncia dinamico grazie ad una serie di eventi che la proiettano ancor di più come città simbolo nel mondo. Non ha una classe dirigente se non ci si limita a considerare tale la sola parte che governa le istituzioni locali. Classe dirigente è un concetto molto più ampio e si riferisce a quella classe, composta da donne e uomini che “governa” strumenti e strutture politiche economiche sociali culturali di una città, di una nazione. Si avverte forte un vuoto di direzione politica, economica, sociale e culturale.

Nella recente storia della città invece questa carenza non c’è stata: apprezzata e capace di mobilitare donne e uomini al servizio di tutti e di tutte le categorie sociali, una classe che è stata in grado di interpretare i bisogni complessivi della città, sia quelli territoriali, con la dinamica centro-periferia, in cui spesso la periferia ha indicato alla città la direzione di marcia, sia per i problemi strutturali sia per quelli esistenziali e quelli sociali. Ed è stato il periodo in cui il movimento operaio, partiti della sinistra, organizzazioni sindacali unitarie si sono fatti carico di una città in difficoltà, ma anche decisa a superarle per crescere nella complessità delle sue dinamiche interne con l’evidente voglia di non rimanere indietro. Una Napoli che richiedeva una guida visionaria e una gestione del quotidiano che alleviasse i disagi dei “disservizi” che la caratterizzavano. Ed è stato quello il periodo in cui Napoli ha avuto più vivacità culturale politica e sociale. Nel movimento operaio si è riconosciuto il fior fiore dell’arte e della cultura non solo napoletana ma anche quella nazionale più sensibile e avvertita.

La straordinaria stagione napoletana tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli Ottanta ha rappresentato un crogiuolo di fermenti culturali e di iniziative sociali capaci di coinvolgere persino una parte tra quella più avvertita della borghesia napoletana. Stiamo parlando degli anni ’70 caratterizzati anche dalla grave pandemia di colera, dove manifesta fu la capacità del movimento operaio di farsi carico di un dramma che vide le istituzioni vacillare, incapaci di rispondere tempestivamente e con coraggio al colera. Furono mobilitati infermieri e medici volontari, si usarono luoghi pubblici, in prevalenza scuole, per le vaccinazioni di massa e le disinfettazioni nei vicoli e nelle strade più affollate.

Oggi quella dinamicità non c’è più e non c’è una classe media in grado di rappresentare nella sua interezza i problemi di tutti e di farsene carico. La borghesia napoletana che pure aveva vissuto la precedente stagione con sospetto, ma anche curiosità e per alcuni aspetti offrendo nella sua parte migliore la propria disponibilità alla collaborazione, finora non è stata in grado di andare oltre i propri interessi partigiani. La vicenda Bagnoli è emblematica di questa visione parziale, meschina e minoritaria, continuando a definire le scelte operate in quei luoghi come “ideologiche” ed a proporre interventi che non sono destinati a soddisfare i desideri della città complessa in cui convivono ricchi, meno ricchi, poveri e sottoproletariato.

Finché nella dinamica sociale la borghesia napoletana, e le associazioni imprenditoriali che la rappresentano, non va oltre il proprio naso, il proprio interesse di categoria, la propria voglia di far crescere cemento e speculazione, non potrà mai essere riconosciuta classe dirigente della città. Ed è certo un problema, visto che il movimento operaio è in crisi da tempo e non sarà più in grado di recuperare alcunché in termini di cultura egemone. Del resto, quella vivacità era anche alimentata dall’impegno diretto di una intellettualità che si riconosceva in alcuni culti napoletani: Croce, Marotta, Masullo, De Giovanni, De Filippo, e nell’enclave dell’arte pittorica fotografica musicale ed altro ancora. Per il momento il tutto regge per la stabilità delle istituzioni locali. Fino a quando?

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