L’ultima esternazione al riguardo è stata quella del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede. A fronte delle atrocità in corso in Ucraina, Sua Eminenza ha evocato lo spirito degli Accordi di Helsinki del ‘75, quando la diplomazia vaticana, guidata dal card. Agostino Casaroli, riuscì a mediare tra NATO e Patto di Varsavia. Nella capitale della Finlandia i due blocchi sottoscrissero una dichiarazione di dieci princìpi che fu poi la base della costituzione dell’OCSE. Eccolo il decalogo di Helsinki:
“1. Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; 2. Non ricorso alla minaccia o all’uso della forza; 3. Inviolabilità delle frontiere; 4. Integrità territoriale degli stati; 5. Risoluzione pacifica delle controversie; 6. Non intervento negli affari interni; 7. Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo; 8. Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli; 9. Cooperazione fra gli stati; 10. Adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale” [sottolineature mie].
Basta dargli una rapida scorsa per capire che oggi, in Europa, c’è una sola parte che ha violato e che sta calpestando tutti i giorni quei princìpi.
Eppure il card. Parolin sembra avercela piuttosto con i governi occidentali: “Limitarsi alle armi rappresenta una risposta debole”, ha dichiarato. A suo avviso la risposta forte è invece intraprendere “iniziative per fare cessare i combattimenti, per arrivare a una soluzione negoziata e per pensare a quale sarà il possibile futuro di convivenza nel nostro Vecchio Continente”.
Come dargli torto, e certo che sarebbe la soluzione migliore. Ma, verrebbe da chiedergli: ‘E Lei, che oggi ha lo stesso ruolo che nel ‘75 ebbe il cardinal Casaroli, cosa sta facendo per percorrere questa strada? La sta perseguendo in prima persona? Se sì, cosa ne sta ricavando?’
In verità allora la mediazione fu più facile. Nel ‘75 era in corso la guerra fredda, mentre oggi il conflitto è ardente, ad ogni ora vengono trucidati soldati, donne, vecchi, bambini senza alcuna pietà. Lo ammetterà anche Sua Eminenza che la via diplomatica è oggi più complicata. Non per questo va tralasciata però.
Ora siamo certi che, in maniera discreta com’è giusto che sia, la Santa Sede stia cercando il modo di mediare. Proprio per questo dichiarazioni come quelle sopra riportate suonano come una testimonianza di persona informata dei fatti che l’Occidente stia perseguendo esclusivamente la via delle armi. Non è così.
Per iniziativa diretta dei cobelligeranti, incoraggiata tuttavia dalle cancellerie euroccidentali, appena dopo l’invasione dell’Ucraina – una volta preso atto da parte russa che era fallita la guerra lampo – in Bielorussia, quindi in territorio controllato dai Russi, si riunirono le due delegazioni. Si strinsero anche le mani davanti alle telecamere, ma mentre i delegati parlavano le armi continuavano a crepitare senza sosta. Dopo poche ore, un membro della delegazione ucraina fu trovato ucciso, con scambio di accuse sugli autori dell’assassinio: era stato giustiziato dagli Ucraini perché una spia, o dai Russi per creare scompiglio tra le file ucraine? Chissà se sapremo mai la verità.
Andato a vuoto quel passaggio, il premier turco Erdogan dopo qualche giorno rilanciava il tavolo, ospitandolo ad Antalya, ed ottenendovi la partecipazione dei due ministri degli Esteri, Lavrov e Kuleba. Anche in questo caso non è stato tirato fuori un ragno dal buco.
E i maggiori leader europei, Macron su tutti, anche per il suo ruolo di Presidente pro-tempore del Consiglio dell’Unione Europea, si sono affannati a lungo a telefonare al Cremlino riuscendo frequentemente ad interloquire con Putin. Niente da fare.
Infine, il buon Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, che non rappresenta l’Occidente ma il mondo intero, si è recato prima ad Istanbul per acquisire informazioni di prima mano da Erdogan, poi a Mosca per ragionare con Putin (nel disappunto di Zelenski), infine a Kyev per riferire a quest’ultimo: per poco non si è beccato sulla nuca un missile speditogli dietro da Putin. Qualcuno, a cominciare da Sua Eminenza Parolin, è in grado di spiegare quale tentativo di perseguire la via diplomatica non è stato esperito e da chi?
È del tutto evidente che quella della diplomazia è una via sbarrata innanzitutto da Putin. Tuttavia i Russi dicono che sono i negoziatori ucraini a non avere un approccio serio alle trattative. E se avessero ragione?
Sarebbe utile, per contribuire a fare chiarezza, che i protagonisti della mediazione informassero l’opinione pubblica mondiale degli sviluppi della loro azione. Invece, al termine di ogni incontro, il capo delegazione ucraino e quello russo rilasciano le loro dichiarazioni, ovviamente ciascuno tirando acqua dalla propria parte, ma i negoziatori che li ospitano o quelli che li sentono non ci dicono mai con chiarezza le loro valutazioni sull’andamento del negoziato. Perché?
Perché Erdogan non ci dice la sua opinione? Perché lo stesso Parolin non ci dice che risposte sta avendo dai due belligeranti nella sua azione negoziale?