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Quanto mi piace l’ispettore Coliandro

by Piera De Prosperis
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E’ un ispettore anomalo, non a caso è su Rai2, in buona compagnia con Rocco Schiavone. E’ Coliandro, la versione scorretta di Montalbano, il commissario di Rai1. Siamo alla settima stagione, con un indice di ascolti veramente buono, l’episodio Yakuza, andato in onda il 14 novembre ha raggiunto uno share del 10.9%. Lo aspettavamo tutti questo personaggio un pò tontolone che ha il volto e il fisico statuario di Giampaolo Morelli.

In onda dal 2006, la serie nasce da un romanzo di Lucarelli, Il giorno del lupo, il cui protagonista è il sovrintendente, poi ispettore Coliandro. Lo scrittore bolognese ha poi collaborato come sceneggiatore a tutte le serie, connotando con la sua scrittura il personaggio. Registi i Manetti bros, quelli per intenderci di Song ‘e Napule e di Ammore e Malavita.

In questo mix riuscito vediamo quali ingredienti partecipano e in che misura.

La sceneggiatura. Le battute non sono mai banali e l’operazione di costruzione del personaggio ed anche di evoluzione nella storia sono evidenti. Coliandro spesso ha pregiudizi (parla male a turno di cinesi, neri, gay e chi più ne ha più ne metta) ma durante lo stesso episodio l’ispettore cambia opinione, diciamo così si ravvede e chiede scusa.

Il linguaggio: Coliandro parla uno slang infarcito di citazioni filmiche, dice cattive parole, usa espressioni del linguaggio giovanile, è politicamente e linguisticamente scorretto, per questo sembra uno di noi che si lascia andare.

L’episodio. Si sviluppa sempre in maniera verticale senza che ci siano eventi diacronici che legano il personaggio ad un passato che lo spettatore non conosce e che man mano si chiarisce (cfr. Schiavone), il che rende le avventure slegate le une dalle altre. Non c’è bisogno di vedere tutte le puntate per comprendere la storia: semplicemente non c’è un fil rouge tra gli episodi.

La regia. Furbescamente richiama situazioni di noir del passato. Come dice uno dei registi, Antonio Manetti, “quando ha davanti un supercattivo alla James Bond, Coliandro sembra essere all’interno di un film di 007, quando ha a che fare con un serial killer sembra quasi muoversi in un film di Dario Argento”. Quindi nessun episodio è uguale all’altro anche se il personaggio è sempre lo stesso. Si mette nei pasticci casualmente, fa innamorare e a sua volta si innamora di donne bellissime che non ritroveremo più nell’episodio successivo, come avviene, invece, per la storica fidanzata di Montalbano, Livia. Riesce a risolvere, suo malgrado, le situazioni, ma dovrà affrontare l’ira dei superiori che temono il suo pressappochismo e la sua innata capacità di creare guai e mettersi nei pasticci.

L’abbondanza di citazioni. Gli episodi sono un continuo ammiccare al passato. Quello che fa Quentin Tarantino con gli spaghetti western all’italiana che il regista americano ha sempre dichiarato di avere a modello, così i Manetti bros fanno con lo stesso Tarantino o con il Nico Giraldi dei polizieschi di Corbucci, forse l’antesignano più presente in Coliandro. Chi è cinefilo riconosce i riferimenti che sono volutamente esibiti, chi non lo è vede in trovate sorprendenti, come l’uso del fumetto manga per raccontare il passato del personaggio giapponese dell’episodio Yakuza, una trovata davvero preziosa.

L’attore Giampaolo Morelli. Ormai è un tutt’uno con il suo personaggio. Gli ha prestato fisicità e sentimenti ed ormai non sarebbe più possibile scinderli, come è avvenuto per Zingaretti con Montalbano. Presentato come tonto, privo di autoironia, testardo, disordinato, diffidente verso le novità anche culinarie, la cucina giapponese, ad esempio, con le sue polpettine, gli fa venire mal di pancia, egli è un antieroe, dai buoni sentimenti, disposto a chiedere scusa quando riconosce di aver sbagliato, in cui al pubblico specie giovanile, piace identificarsi.

L’ambientazione. Bologna, come avviene in tutte le grandi città, consente set diversificati: l’ambiente universitario, quello della malavita organizzata, delle scommesse clandestine, vicende che si verificano ovunque e qui trovano lo scenario della città, la grassa, con le torri e i portici di un centro storico fra i più estesi d’Italia.

Ne viene fuori un buon impasto, ben lievitato e ben condito. E’ ancora un successo per la Rai che ha ormai il quasi esclusivo appannaggio delle fiction, del resto i testi e la qualità della produzione sono evidenti. A mio avviso rimane fondamentale la scrittura: la sceneggiatura di un maestro come Lucarelli fa la differenza.

Piera De Prosperis