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Quel che resta della Memoria

by Luca Rampazzo
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“So’ tutt mort abbruciat”, così uno studente partenopeo sull’immane tragedia della Shoah. Questo perché quella frase non ci dovrebbe stupire: ci era stato detto che sarebbe finita così. Chi lo aveva detto? Quando?

Una settimana fa, la Senatrice a Vita Liliana Segre, in un incontro pubblico assieme al Sindaco Giuseppe Sala, aveva dichiarato (come riportato da Repubblica): “”Fra un po’ sui libri di storia della Shoah ci sarà solo una riga”. Chiaramente la Senatrice non pensava sarebbe stata scritta in dialetto, né che sarebbe stata una frase di quattro parole. Il tema, però, è precisamente quello: la memoria si sta perdendo. Ma cos’è la memoria? Sul tema io mi trovo in parte d’accordo con il prof. Barbero, divulgatore e ordinario di Storia Medievale all’Università del Piemonte Orientale. Storia è un campo del sapere umano con delle regole precise. Non una scienza, ma una materia accademica. Basata su documenti, con fatti accertati, fatti in via di accertamenti e opinioni basate sui primi che servono a colmare le lacune dei secondi. La memoria, invece, è un fatto familiare, personale, soggettivo nel senso più profondo. La Storia della Shoah è qualcosa che occupa intere biblioteche. È scritta nella pietra, documentata all’impossibile. Ha retto all’assalto velenoso negazionista, ha retto alle aule dei tribunali.

La memoria è tutta, davvero tutta un’altra storia. E la paura della Senatrice ha trovato una conferma tombale nell’epitaffio del ragazzo. Quello su cui dissento dal prof. Barbero è che lui pone storia e memoria come una dicotomia secca. Io penso, invece, che tra le due ci sia un’ampia fascia di terreno concettuale: la narrazione. La narrazione è più che memoria, perché è condivisa e informa l’identità di un popolo, non di un solo individuo. Ma è meno che Storia, con la maiuscola e forse anche con la minuscola, perché è una semplificazione. Perde di profondità e spessore per assumere tinte nette e facilmente memorabili. La Narrazione è un bisogno. Quando si crea una nazione. Il bisogno di avere una “storia” condivisa, a costo di semplificare e travisare fatti importanti. L’elemento tipico della Narrazione è lo scopo, a costo dell’infedeltà.

Il sopravvissuto che narra la sua tragica vicenda è Memoria. Lo studioso che la documenta, stabilendo i vari gradi di coinvolgimento degli attori con fredda acrimonia, è Storia. La Vita è Bella che fa liberare il campo non nominato (ma fortemente sottinteso essere Auschwitz) dagli Americani invece che dai Sovietici è Narrazione. È perciò evidente che la Narrazione serve, è vitale per non dimenticare la Shoà. Ma senza la Memoria diventa pericolosa. Perché ammette troppe libertà. E, soprattutto, quando si traveste da Memoria suona falsa. Il ragazzo che sta scrivendo ha vissuto probabilmente troppa narrazione. E i risultati ci vengono lanciati in faccia con crudezza impressionante.

Lui, della Shoah ricorda due dati essenziali: 1. È avvenuta 2. I campi sono esistiti e hanno compiuto una carneficina. Mancano i colpevoli e le vittime, è vero. Manca l’empatia, verissimo. Ma manca perché la scuola non gliel’ha trasmessa. È un errore del sistema scolastico? Dipende dalla modalità con cui si insegna quell’argomento? O dipende da qualcosa di più profondo? E cioè che la Narrazione, come detto, senza Memoria non regge?

Io penso, tutto sommato, che Liliana Segre e l’anonimo studente stiano dicendo la stessa cosa: la Giornata della Memoria, così com’è, forse non funziona. Perché, finiti i testimoni diretti, non resterà più il collegamento tra ieri e domani. Ci saranno solo Storia e Narrazione. E questo porta a due rischi diversi, ma ugualmente concreti. Se la Shoah fosse solo Storia rischieremmo che venga percepita come le Guerre Puniche. Ma l’avvenimento della Shoah non è un fatto tra tanti. Non è un punto in una lunga linea. È un abisso. Qualcosa di ben più che delle righe in un testo. Se, però, diventasse solo Narrazione rischierebbe la concorrenza di narrazioni concorrenti. Il ritorno in grande stile di negazionismo e giustificazionismo come alternative alla Narrazione ufficiale. Rischiamo il proliferare dei No Shoah. Sono due rischi diversi e paralleli. La Senatrice Segre ci ricorda che rischiamo l’inaridimento, la consegna ad una memoria di forma, ma ad un oblio di fatto.

Il ragazzo ci ricorda, inconsapevolmente, che se c’è ancora spazio per una buona Memoria non ci dobbiamo adagiare sugli allori e tenere sempre presente, come una nuvola scura in un orizzonte indefinito, che la Memoria non è qualcosa di scontato.

Diamo quindi un due senza appello al ragazzo, perché la sfida all’autorità riceve la sua ricompensa suprema nella punizione (senza, anche la sfida perde di importanza). Ma non facciamoci condizionare e non aggraviamo oltre il segno: il ragazzo può essere ancora salvato. E crederci è speranza di redenzione per la società tutta.