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Ribelli di periferia

by Luca Rampazzo
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La Fase 2, come molti altri elementi di questa epidemia, non sarà qualcosa di comandato. Si svilupperà dal basso. Possiamo dire che stia già nascendo. Ed ai dubbi, legittimi, del Governo ed alle prudenti certezze offerte dalla scienza, il popolo risponde con moti sempre più estesi di ribellione. Sì, di ribellione. Le mascherine sono sempre più basse. Il naso lo coprono a malapena, e spesso sono direttamente sotto. Alcuni non ce l’hanno proprio. Altri, con spirito autenticamente anarchico, la tolgono sfacciatamente per fumare. La foto di copertina è stata scattata questa mattina in via De La Salle, angolo via Padova, a Milano. Ed è emblematica.

Due uomini occupano la scena. Uno, piantato per terra, sfida la coda della fila davanti ad un supermercato. È un ribelle di altri tempi. Chi l’ha detto, poi, che i ribelli sono tutti giovani e belli? Quelli al massimo sono gli eroi di Guccini. I ribelli sono figure popolari senza tempo, dimensione o padrini. Spesso hanno torto. Non sono necessariamente modelli. Hanno una funzione, però, che ci piaccia o meno. Servono a ricordarci che là fuori, oltre i limiti del vivere civile, oltre la legge, oltre la convenienza e le convenzioni, c’è un mondo. Un mondo di cui loro sono i padroni ed in cui noi non possiamo entrare. Nel mondo di Ninco Nanco, nel mondo del bandito Giuliano, nel mondo di Ben Hur le nostre leggi e convenzioni non hanno peso o valore. Il ribelle va, ovviamente, punito. Ma non va ignorato. Ignorarlo fa male più a noi che a lui.

Perché, dietro al ribelle, nella foto si vede il motivo per cui ribellarsi in alcuni casi è illegale, ma in qualche modo o maniera non ingiusto. Il signore con il cartello “Alt, grazie” girava con un metro estensibile bloccato su un metro e mezzo e misurava in continuazione lo spazio libero attorno a sé. Con il cartello esorcizzava gli spiriti malvagi in fila, prima e dopo di lui. E con il metro li teneva a distanza. Ripetendo litanie su come e quanto pericoloso fosse stargli vicino. La mascherina unica barriera tra i suoi pensieri ribollenti ed il resto del mondo. L’uomo col cartello è una vittima. La vittima di una psicosi unita alla scarsa cura portata alle anime fragili che mal sopportano la detenzione, per il bene pubblico. Lui è il motivo per cui questo articolo viene scritto. Il ribelle è la chiave di lettura per capire il messaggio profondo che voglio trasmettervi.

La Fase uno deve finire non perché la curva ci dice di farlo, non perché il comitato tecnico scientifico lo ha divinato nelle tabelle di questa epidemia o perché Conte ce lo concede. Lo deve fare perché quella vittima, dopo essere entrata al supermercato, è stata accompagnata fuori dai vigili a seguito di una crisi. La settimana scorsa ho assistito alla medesima scena, con diverso protagonista. Il ribelle è stato prontamente ignorato da chiunque. Ma la vittima adesso si trova in una situazione sicuramente non piacevole e che, in tempi normali, sarebbe stata prevenuta. Il ribelle sfida il sistema guardandolo negli occhi e lo fa non per egoismo, non solo almeno, ma anche per tutte le vittime che la fila fuori dal supermercato non vede e mai vedrà.

Noi che siamo nel mezzo dei due opposti siamo basiti. Vorremmo stare in casa fino alla fine dei contagi. Vorremmo che due mesi di sacrifici significhino qualcosa. Non vorremmo ci fossero vittime. Non vorremmo che l’uomo con la sigaretta fosse un ribelle. Vorremmo fosse un imbecille qualsiasi, da punire con la massima durezza coniugata alla più assoluta indifferenza. Purtroppo non si può avere tutto ciò che si desidera. Prima o poi dovremo rischiare, affrontare il nemico faccia a faccia. Questo momento si avvicina sempre di più. O, forse, è sempre meno rinviabile.

Una cosa mi ha colpito. I (pochi) giovani in giro erano bardati senza errore. Mascherina, guanti, naso e bocca ben coperti. I ribelli, tutti, senza eccezione erano anziani. I più esposti. Quelli che rischiano in assoluto di più. E che, forse, oggi ci stanno tramandando la lezione più importante: la vita è tutta un rischio. E, in alcuni casi, a precise condizioni, è meglio vedere i propri nipoti, salutarli, parlarci. Respirare un’ultima Primavera. Piuttosto che chiudersi in casa e restarci altri anni. Uguali, l’uno all’altro, in una triste processione. Chissà, forse, stavolta era il ribelle ad avere ragione. Qualche volta accade. Di sicuro la vittima ci chiede di non sacrificarla sull’altare della paura.