Foto by AC Milan
C’è chi parla di “scelta di responsabilità” e chi invece vede solo una clamorosa svendita. La delibera che ha dato via libera alla vendita di San Siro non smette di far discutere, dentro e fuori Palazzo Marino. E non potrebbe essere altrimenti, visto che parliamo non solo dello stadio Giuseppe Meazza, ma anche delle aree attorno e dei relativi diritti edificatori: un pezzo intero di città.
Un affare o un rischio?
Il Comune Incasserà 197 milioni di euro. Una cifra che, sulla carta, sembra importante, ma che è in realtà il minimo fissato dall’Agenzia delle Entrate. Nessuna trattativa al rialzo, nessun margine strappato. È già questo un punto che lascia l’amaro in bocca a molti osservatori.
E poi ci sono le incognite. A partire da una domanda semplice: chi è, davvero, il titolare effettivo dell’operazione? Per il Milan si conosce la faccia di Gerry Cardinale, per l’Inter il quadro è molto più opaco. In ogni caso, i fondi che controllano i club sono strutturati per vendere. Tra dieci anni, insomma, nessuno sa chi trarrà vantaggio da questa partita.
Il nuovo stadio, che dovrebbe sorgere entro il 2031, oggi è poco più di un titolo di giornale. Non esistono rendering ufficiali, non ci sono certezze sulla sua conformità agli standard internazionali. Siamo di fronte alla prospettiva concreta di abbattere il Meazza senza avere la minima idea di cosa lo sostituirà.
Le clausole che fanno discutere
Il contratto contiene elementi che lasciano perplessi. La “earn out” e la prelazione, ad esempio, hanno tempistiche sfalsate: cinque anni per una, sei per l’altra. Un dettaglio? Non proprio, perché i ritardi di un cantiere così complesso possono rendere il meccanismo facilmente aggirabile. E il fatto che tutto sia legato ai terreni e non alle quote societarie rende ancora più fragile la posizione del Comune.
C’è poi una clausola che consente ai club di sfilarsi al primo avviso di garanzia. Non serve nemmeno un processo, basta un atto iniziale. Significa che le società possono guardare come vanno le vendite immobiliari e decidere all’ultimo se mollare tutto, lasciando il Comune con il cerino in mano.
Perché sì e perché no
Chi ha votato a favore parla di responsabilità: non si poteva più restare fermi, dicono, e Milano ha bisogno di uno stadio moderno, competitivo, con attorno nuove funzioni e nuove opportunità.
Chi si oppone mette l’accento sulla perdita di un simbolo, il Meazza, e soprattutto sul rischio che questa operazione sia poco più di una gigantesca speculazione immobiliare. Alla città, insomma, resterebbero solo i danni.
Gli effetti politici
La partita di San Siro non si gioca solo sul prato verde. Dentro la giunta Sala, la frattura è evidente. Da un lato l’ala più pragmatica, convinta che la città non potesse più permettersi di temporeggiare; dall’altro chi denuncia un’operazione condotta al ribasso e senza garanzie per i cittadini.
Le conseguenze potrebbero pesare a lungo. Perché se la Procura, come molti ipotizzano, interverrà, il progetto rischia di saltare lasciando solo tensioni politiche, carte bollate e un cantiere mai nato. E la giunta, già messa a dura prova da equilibri complessi, dovrà fare i conti con la sfiducia di una parte consistente della città.
La domanda di fondo
Alla fine, tutto si riduce a un interrogativo che resta sospeso: davvero questa vendita è nell’interesse dei milanesi? Per i sostenitori sì, perché sblocca una vicenda annosa e apre a nuove opportunità. Per i critici, invece, è un passo falso che rischia di lasciare macerie, urbanistiche e politiche.
E intanto, mentre i club guardano al futuro, Milano rischia di perdere non solo uno stadio, ma un pezzo della propria identità.