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Sardine a Roma

by Luca Rampazzo
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A leggere i giornali alcuni particolari potrebbero sfuggirvi. Per esempio, in una Piazza San Giovanni di metà dicembre, decine di migliaia di persone si ritrovano. E non si sente nulla. Non scherzo. Credo che qualcosa potessero comprenderla solo quelli che stavano sotto il palco. Ma dal pratone in poi le parole arrivavano a spizzichi e bocconi, fortemente distorte. E a nessuno pareva importare nulla. Era davvero poetico. Le sardine erano là per fotografarsi, mostrare cartelloni, portare a spasso i bimbi e sorridere.

So che non è una cronaca ortodossa, ma io c’ero. E, davvero, all’inizio la gente fingeva di ascoltare, per riflesso più che altro. Ma non è durata a lungo. Presto hanno cominciato a concentrarsi sulla cosa importante: esserci per testimoniare. Una famiglia con un bambino, nonno, madre e nipotino incarnava perfettamente il quadro. Il bimbo era imbarazzato perché tutti volevano fotografarlo. Il nonno gli si è avvicinato e gli ha spiegato: “Vedi, tutti te vonno fotografà. Perché sei er futuro”. Tutti volevano fotografare lui. Non il palco. Non le celebrità. Lui. Almeno nella periferia del movimento.

Là, tra l’erba ed il marmo, a regnare erano i sorrisi, i gruppetti, le teste argentate (decisamente più numerose dei giovani). Ma il punto focale era l’atomizzazione. A gruppi di due o tre. Ma non di più. Qualche comitiva, certo, ma era cosa rarissima. L’unica forma organizzata era quella delle sardine anticapitaliste, che hanno superato qualche timidezza dell’organizzazione e qualche problema logistico aprendosi un varco verso il palco. Ma si è trattato di un’eccezione. La regola era la polverizzazione.

Che veniva superata, d’impeto, solo da alcune canzoni. Si apre con Bella Ciao. Tutti in coro. Si prosegue con l’Inno di Mameli. Qualche incertezza di più. Qualcuno, incapace di trattenersi, parte con bandiera rossa, prima di essere riportato all’ordine. Poi tutti a cantare. Con qualche nota stonata. Poi finisce tutto. Dalla non riscuote grosso gradimento. Bologna è molto lontana. Libertà è partecipazione di Gaber ancora meno. Milano è troppo nordica.

Allora cosa dire di loro? Come descrivere questa massa di gente? È difficile, siamo in mari ignoti. La mia impressione, da testimone, è che qui si accontentassero di una cosa troppo a lungo trascurata: la sinistra, intesa come solidarietà, presenza fisica sul territorio e aiuto agli ultimi (comunque li intendiate) esiste. E non intende mettersi in un angolo e sparire. Nemmeno se perdesse ogni elezione da qui ai prossimi 50 anni. Nemmeno se i social sono stati conquistati dai loro avversari. Nemmeno (anzi soprattutto) se il Parlamento, quell’aula sorda e grigia, dovesse divenire un bivacco di manipoli. Tutto qua. Troppo poco per un partito. Troppo per un gruppo Facebook. Abbastanza per questa Piazza San Giovanni.

Il popolo qui c’è. È felice di esserci, sta ai margini senza problemi. Non corre sotto il palco, non pende dalle labbra dei leader. L’idea che mi sono personalmente fatto è di un popolo che non è ancora pronto per diventare una realtà politica, ma che non è nemmeno pronto ad arrendersi al vento della storia. Insomma, c’erano le persone, ma mancava la coscienza politica. Circostanza che a destra è la normalità e viene bypassata dal leader come figura aggregante. Mentre in questa piazza, di leader non si sentiva alcuna esigenza. Perché l’azione, la coesione, il cuore di tutto era al limite della piazza.

Chiudo con una scena reale che illustra, spero, al meglio il concetto.

C’è un bimbo che ride. Il padre se lo carica sulle spalle. E lui ride più forte.

Il padre gli dice: “Papà ti prende in spalla perché tu possa guardare il palco, laggiù. Lo vedi? Che fanno?”

“Niente!”

“Dai guarda meglio, che stanno a fa?”

“NIENTE!”

Il bambino scende e torna a giocare felice. Forse ha ragione lui. C’è vita tra le sardine. Ma tollera male i comizi ed i palchi.