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Se la donna comincia a dire la verità

by Piera De Prosperis
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Ora che è finita la celebrazione ufficiale della giornata della donna, vogliamo parlarne un po’ tra noi?

Sono dell’idea che sia impossibile per un uomo, di qualunque estrazione sociale, cultura, formazione saper parlare di donne. Sono, i nostri, due universi separati, diversi per sensibilità e capacità di rapportarsi al mondo. Non sto parlando, ovviamente, di superiorità dell’uno rispetto all’altro ma di difficoltà di comprendere quelle dinamiche psicologiche che determinano la percezione del mondo, secondo i generi.

Esplorare l’universo femminile si può, difendere la dignità delle donne si deve, combattere ogni forma di violenza è civiltà, eppure si ha sempre la sensazione che quando a parlare di queste cose sia un uomo, in fondo in fondo ci sia una piccola remora. Non a caso affiorano, quando meno te lo aspetti commenti antifemminili: Per esempio, nel mondo dello spettacolo. Renga (c‘è una spiegazione fisica, di vocalità; la voce maschile è più armoniosa, più gradevole; invece, le voci femminili aggraziate, belle, dolci sono sicuramente poche, molte di meno di quelle maschili). Nel mondo dello sport. Collovati (Le donne non possono parlare di tattica, quando sento che lo fanno mi si rivolta lo stomaco). E non parliamo della politica. Per il ministro Fontana l’aborto è l’uccisione di un innocente. Anni di battaglie, secoli di rivendicazioni e conquiste, razionalmente accettate ma istintivamente mal digerite e mal sopportate.

Chi allora può veramente parlare di noi? Solo noi. Realizzando quella sorellanza in cui trascende un senso di complicità femminile che cerca soprattutto di generare un cambiamento sociale. Vedere le altre donne come concorrenti o nemiche fa il gioco dello strisciante patriarcato. Il divide et impera di antica memoria.

Sorellanza vuol dire solidarietà, significa essere in grado di costituire una rete per rivendicare un effettivo cambiamento. Significa saper parlare di sé, per sé e per le altre. Potrei portare numerosi esempi di donne che hanno dato voce all’universo femminile, ma ne voglio citare due: Saffo e Virginia Woolf.

Quell’uomo mi pare simile agli dei, che ti siede di fronte e da presso t’ascolta dolcemente parlare e ridere amorosamente. Questo mi fa tremare il cuore nel petto. Come ti vedo, non mi viene più la voce, ma la lingua mi si spezza, subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle, e non vedo più con gli occhi, e mi rombano gli orecchi, e il sudore gocciola, e un tremore mi prende tutta, e io divento più verde dell’erba, e appaio poco lontana da morte… (Saffo fr. 31 Voigt)

Il carme della gelosia letto da tutte le generazioni a venire, copiato da tanti descrive quel sentimento terribile e totalizzante come solo una donna può sentirlo.

“Per tutti questi secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo … Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, gli specchi sono essenziali a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono tanto enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se esse non fossero inferiori cesserebbero di ingrandire loro. Questo serve in parte a spiegare la necessità che gli uomini spesso sentono delle donne. E servono a spiegare come li fa sentire inquieti la critica femminile; come a lei sia impossibile dir loro che il libro è brutto, il quadro difettoso, o cose del genere, senza provocare assai più dolore e suscitare assai più rabbia di quanta potrebbe suscitarne un uomo con la stessa critica. Perché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita.” (V.Woolf, Una stanza tutta per sé).

Davvero in questa citazione è racchiuso tutto il senso del rapporto uomo-donna e solo una grande scrittrice ed una grande donna poteva coglierne la difficoltà di cambiamento, per quante conquiste possano essere fatte.

Cosa ci insegnano queste sorelle? Che dobbiamo darci voce da sole senza chiedere permesso, pensare con la nostra testa, educare le nostre figlie all’autonomia di pensiero, creare una solidarietà femminile che spesso, per cultura o formazione non esiste.

Quando avremo capito questo non ci sarà bisogno di un 8 marzo, festa insopportabile e zuccherosa. O, per meglio dire, quando in quella data gli uomini parleranno di noi sarà solo una cosa piacevole e gentile, perché saremo consapevoli della nostra diversità e ne saremo fiere.

Altrimenti, francamente me ne infischio!