La cosiddetta Terra dei Fuochi è quel vasto territorio, ricadente nelle Province di Napoli e Caserta, principalmente nel quadrilatero compreso tra il Litorale Domitio, l’agro Aversano-Atellano , l’agro Acerrano-Nolano e Vesuviano e la città di Napoli, così denominato a suo tempo da Legambiente, a causa del fenomeno dei continui incendi di rifiuti e di interramenti illeciti.
Tale situazione ha destato legittime preoccupazioni dei cittadini di quelle zone in ordine ai pericoli per la salute, anche in relazione a quelli legati al consumo di specie vegetali destinate all’alimentazione umana o animale coltivate nelle aree incriminate ed ha comportato gravi ripercussioni economiche sull’intero settore agricolo campano.
L’area interessata, individuata a partire dal dicembre 2013 con tre diverse Direttive Ministeriali, comprende al momento il territorio di 90 comuni, come riportato nella figura.
Al fine di approfondire le conoscenze sia sulla qualità dei prodotti agroalimentari, sia sulla contaminazione dei suoli agricoli nel territorio della Terra dei Fuochi, è stata emanata una apposita norma, la Legge n.6 del 2014.
Essa dà mandato all’ARPAC, all’Istituto Superiore di Sanità, all’ Istituto Superiore di Protezione Ambientale ed al Consiglio Nazionale per la Ricerca in Agricoltura, di procedere ad effettuare la mappatura dei terreni agricoli interessati da interramenti o da smaltimenti abusivi di rifiuti anche mediante combustione. Ai quattro Enti sopra menzionati è stato quindi affiancato un gruppo di lavoro di cui fanno parte anche la Regione Campania, gli Istituti Zooprofilattici di Teramo e del Mezzogiorno, l’Università di Napoli Federico II, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Le attività del Gruppo sono coordinate dai Carabinieri Forestali.
Al fine di individuare i terreni agricoli potenzialmente interessati dai fenomeni di smaltimento illecito di rifiuti, si è proceduto innanzitutto a raccogliere e mettere a sistema tutti i dati pregressi sull’inquinamento dei terreni già disponibili presso l’ARPAC e l’Università di Napoli Federico II. Sovrapponendo questi dati a quelli derivanti da un apposito studio sulle variazioni morfologiche dei terreni agricoli, effettuato mediante analisi multitemporale di ortofoto storiche, si è addivenuti alla individuazione di oltre 1.900 siti, che comprendono circa 20.000 particelle catastali, per un totale di circa 2.000 ettari di territorio, che sono stati raggruppati in cinque diversi classi di rischio decrescente.
A partire dalle classi considerate a rischio maggiore, si è quindi dato il via agli accertamenti sui diversi terreni. Su ciascuna delle particelle catastali individuate sono state effettuate in primo luogo indagini radiometriche e/o geomagnetometriche, finalizzate a verificare la presenza di radioattività o comunque di rifiuti interrati. A seguire sono stati effettuati campionamenti ed analisi di suolo e di vegetali, e in presenza di pozzi, anche di acque sotterranee utilizzate a scopo irriguo.
Nella perdurante mancanza, a livello nazionale, delle norme che disciplinano la qualità dei terreni agricoli e delle acque irrigue, il Gruppo di lavoro ha proceduto alla predisposizione di un modello scientifico per la valutazione dei risultati. Il modello prende in considerazione, oltre alle concentrazioni di contaminanti, anche la loro biodisponibilità, le caratteristiche agronomiche dei diversi suoli ed i meccanismi di assorbimento e traslocazione nelle diverse specie agricole.
Le valutazioni effettuate hanno consentito di classificare, ai fini dell’uso agricolo, ciascuna delle particelle catastali individuate in una delle seguenti classi:
- CLASSE A: Terreni idonei alle produzioni agroalimentari;
- CLASSE B: Terreni con limitazione a determinate produzioni agroalimentari in specifiche condizioni;
- CLASSE C: Terreni idonei alle produzioni non alimentari;
- CLASSE D: Terreni con divieto di produzioni agroalimentari e silvopastorali.
Nel triennio (2014-2016) sono stati classificati oltre 500 terreni per un totale di circa 300 ettari.
Le indagini sin qui eseguite hanno evidenziato che il 67% circa dei terreni classificati, con riferimento all’estensione, sono risultati idonei per l’uso agricolo a fronte di un 12% di terreni interdetti alla coltivazione. Per il restante 20% sono state previste specifiche limitazioni, come ad esempio il divieto di pascolo o di coltivazioni foraggere.
Gli inquinanti riscontrati con maggiore frequenza nei terreni che sono stati interdetti alla coltivazione sono stati i metalli pesanti, il DDT e derivati, le diossine e gli Idrocarburi Policiclici Aromatici.
Alcuni terreni sono stati interdetti alla coltivazione, anche in mancanza di fenomeni di inquinamento, a causa dell’esito positivo delle indagini geomagnetometriche, che ha fornito una forte evidenza della probabile presenza di rifiuti interrati, sebbene in nessun caso siano stati riscontrati valori anomali di radioattività.
Il dato assolutamente positivo, sulla base degli accertamenti sin qui effettuati, è che tutti i prodotti agricoli per alimentazione umana sono risultati conformi ai limiti normativi, anche nel caso in cui sono stati prelevati su terreni contaminati, che comunque, a scopo precauzionale, sono stati interdetti alla coltivazione nelle more della realizzazione dei necessari interventi di bonifica. Gli unici fenomeni di contaminazione riscontrata hanno riguardato in pochissimi casi la vegetazione spontanea di alcune aree incolte nelle immediate vicinanze di assi stradali.
Le attività comunque proseguono, nel corso del 2017 sono state completate le indagini sull’Area Vasta di Bortolotto-Sogeri nel Comune di Castelvolturno, i cui risultati sono in corso di valutazione da parte del Gruppo di lavoro e sono state avviate e sono tuttora in corso le indagini sui terreni agricoli ricadenti nell’Area Vasta di Lo Uttaro.
In conclusione, sulla base dei dati sin qui disponibili, è possibile affermare che il fenomeno dell’inquinamento delle matrici ambientali probabilmente ascrivibile a fenomeni di gestione illecita di rifiuti, quali interramenti, combustione, spandimenti illeciti, è presente nella “Terra dei Fuochi”, ma in dimensioni che per ora appaiono circoscritte ad un numero di aree relativamente ridotto rispetto a quanto inizialmente ipotizzato. Il dato sicuramente più confortante è quello della salubrità dei prodotti agricoli sin qui analizzati, mantenutasi anche nei prodotti coltivati su terreni inquinati.
E’ di altrettanta evidenza che i risultati ottenuti nell’ambito delle attività sopra descritte, unitamente ai diversi ritrovamenti di discariche abusive di rifiuti interrati nell’ambito di attività condotte dall’Autorità Giudiziaria, sono comunque la testimonianza di un utilizzo scellerato del territorio, che, seppure si riuscisse mai a dimostrare che non ha causato danni alla salute umana, ha sicuramente determinato un danno all’ambiente che , sebbene circoscritto ad alcune aree, potrebbe risultare in qualche caso insanabile, a causa dei costi necessari per gli interventi di bonifica.
Marinella Vito, Direttore Tecnico dell’ARPAC