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Terre e rocce da scavo. Le linee guida autoreferenziali di Ispra

by Giulio Espero
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La materia riguardante le terre e rocce provenienti da scavo, negli ultimi anni ha assunto sempre maggiore criticità nella gestione corretta dei materiali che quotidianamente si generano quando si realizza un’opera edilizia o infrastrutturale.

Per decenni, le terre e rocce da scavo sono state trattate come un materiale naturale da reimpiegare o portare a discarica senza alcuna verifica sul grado di riutilizzabilità o di inquinamento eventualmente presente. Poi è arrivato il Testo Unico sull’Ambiente e pareva che addirittura i terreni e le rocce dovessero essere trattati alla stregua di rifiuti. Con la conseguente crisi di tutta la filiera che non era pronta, in termini economici e logistico/funzionali, a trattare una massa enorme di residui.

Con la pubblicazione del “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo” (DPR 120/2017, entrato in vigore il 22 agosto), si perfeziona la delega regolamentare concessa dal Parlamento al Governo con lo Sblocca Italia e viene riscritta integralmente, semplificandola, una disciplina articolata e complessa, riunendo in un unico testo le numerose norme che si sono succedute nel tempo.

In particolare, si afferma con precisione un concetto dirimente. Ovvero che le terre e rocce da scavo non sono da considerarsi un rifiuto a prescindere ma, a determinate condizioni, sono un sottoprodotto e in alcuni casi addirittura sono escluse dalla disciplina dei rifiuti.

Un notevole passo in avanti, perlomeno in termini concettuali, che però fatica a trovare una pratica applicazione condivisa. Che soprattutto tuteli il rispetto dell’ambiente e al tempo stesso garantisca l’operatore da eventuali infrazioni, anche di carattere penale, fatte senza volerlo.

In tale direzione si è mossa l’Ispra, che tramite il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA), con delibera n. 54 del 9 maggio 2019, ha approvato le “Linea guida sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo” emanate, si legge in rete, al fine di migliorare l’azione dei controlli attraverso interventi ispettivi sempre più qualificati, omogenei e integrati.

Le linee guida, va ricordato, non hanno valore normativo in senso stretto ma, secondo l’Ispra, hanno l’ambizione di costituire un punto di riferimento normativo autorevole in merito ad una disciplina che storicamente in Italia presenta un’alta possibilità, per così dire, di sfiorare aspetti penalmente rilevanti.

Tra gli obiettivi chiaramente dichiarati, le linee guida si prefiggono in primis un’analisi ragionata del DPR 120/2017 con particolare riferimento all’individuazione delle connesse criticità applicative, come ad esempio le modalità operative di campionamento e gli aspetti procedurali. Senza dimenticare “un approccio comune finalizzato ad una applicazione condivisa delle diverse disposizioni con particolare riferimento ai compiti di monitoraggio e controllo attribuiti al SNPA, fermi restando i compiti di vigilanza e controllo stabiliti dalle norme vigenti per le Agenzie … nonché la definizione di criteri comuni per la programmazione annuale delle ispezioni, dei controlli dei prelievi e delle verifiche delle Agenzie regionali e provinciali…”

Il compitino per carità è stato ben eseguito, però si pone l’accento (un lapsus freudiano?) più sulla separazione dei ruoli e sulle responsabilità che sulle vere modalità operative. L’uso massivo di linee guida prosegue nel solco tracciato da Renzi/Cantone, ovvero sulla falsariga della soft law. Più che una legge precisa, certa ed inequivocabile, meglio una serie di regolamenti, suggerimenti, linee guida, le cosiddette best practies, che dovrebbero guidare in maniera “collaborativa” e non autoritaria l’operatore privato e il controllore pubblico.

Intenzioni lodevoli sulla carta, ma forse di dubbia efficacia in un Paese “levantino” come il nostro, dove chi dispone le leggi lo fa sempre senza consultare chi le deve applicare e soprattutto chi ne è oggetto. Come se gli operatori, in questo caso le imprese che devono materialmente occuparsi delle terre e rocce da scavo, fossero irresponsabili a prescindere o peggio dovessero pagare una colpa ab origine. La stessa Ance, all’uscita delle linee guida, pur apprezzandone lo sforzo ricognitivo, ha tenuto a sottolineare come le stesse fossero frutto di uno studio autoreferenziale del SNPA e non condiviso con chi tutti i giorni deve operare in un contesto confuso e pericoloso.

Chissà … un giorno davvero si siederanno allo stesso tavolo i legislatori e gli operatori. Magari ne uscirà un documento realmente condiviso e operativo, cosicché il giorno dopo ognuno saprà come comportarsi senza dubbi e incertezze. Ma soprattutto senza posizioni inutilmente cautelative, che di fatto generano pericolosi stalli ed incertezze. Naturalmente il bravo legislatore dovrebbe valutare anche le effettive e reali possibilità di smaltimento e riuso dei terreni e delle rocce da scavo, essere edotto cioè della reale capacità di trattamento del sistema paese e non pensare di portare tutto all’estero. Altrimenti è pura teoria, perfetto esercizio teorico che cozza contro una realtà di ben altra sostanza.