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“Una esecuzione memorabile”, di Alessandro Campi

Il 'caso' Giovanni Gentile

by Bruno Gravagnuolo
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A 150 anni dalla nascita di Giovanni Gentile e 81 dalla morte arriva “Una esecuzione memorabile” di Alessandro Campi, Le Lettere. Che è poi la casa editrice fondata da Federico, figlio del filosofo, morto nel 1996. Il caso dell’esecuzione del filosofo – 15 aprile 1944 – si riaccende periodicamente, come è noto, in sede di bilanci storici o apposizione di targhe. Gentile fu infatti alfiere del regime ed estensore contro Croce del Manifesto degli intellettuali fascisti. Ma fu importante, come logico, storico delle idee, persino estetologo e padre di una intera scuola da cui vennero Ugo Spirito e giù giù gente come Luporini, Della Volpe, Colletti, Valentini, amati maestri, e persino Gramsci ne fu influenzato, per non dire che Lenin salutò nel 1899 la sua Filosofia di Marx – tesi di laurea del 1897 – come uno dei libri più importanti su Marx mai scritti!

Paradossi delle idee. Dal tema della praxis marxista Gentile rivoluzionario conservatore trasse una certa idea di Spirito come energia pragmatica pensante, che aboliva la distinzione soggetto oggetto: conoscere per Gentile era di per sé scongelare e mutare il dato materiale, in un processo dinamico infinito. Era il famoso idealismo dell’Atto puro che ribaltava il materialismo di Marx con Marx!

Poi parlando del filosofo ci sono la Riforma scolastica, l’Enciclopedia Treccani, la Sansoni, la Nuova Italia, l’Ipalmo dedicato al Medioriente e tante altre iniziative che hanno fatto la cultura italiana. Gli studi sul Rinascimento per esempio.

Bene, il libro di Campi ha un titolo eclatante e un po’ ambivalente, sebbene poi riassuma benissimo la tesi dell’autore, uno dei più bravi e seri della destra italiana. Dunque per Campi, come da titolo, dovrebbe essere superato il problema. Omicidio inevitabile ed esemplare. Gentile difatti fu fascistissimo, impose il giuramento al regime, ne esaltò il ruolo di continuatore di massa del Risorgimento, e fu un avversario della democrazia liberale pur da liberal conservatore. Poi fu laico anti concordato e alieno da antisemitismo, e però mai acuì il dissenso, e per la maggior gloria di Mussolini in cui vide un Mazzini guerriero eroe cosmico storico. Infine, nel 1943 dopo aver atteso una possibile continuità di regime – il 25 luglio – con l’8 settembre aderì alla Rsi dopo un colloquio “commovente” sul Garda col suo Duce, con il quale aveva scritto la voce ‘Fascismo’ della Treccani. Gentile va perciò a Firenze a presiedere l’Accademia d’Italia. E qui un commando gappista comunista lo uccide alle 13 30 del 15 Aprile 1944 davanti a Villa Montalto al Salviatino. Tutto ciò è acclarato incluse le responsabilità e gli autori.

E nondimeno, specie da sinistra si è voluto creare un cold case tipo Garlasco: chi uccise Gentile e perché? Salta in cattedra negli anni ‘80 Luciano Canfora, che ipotizza ruolo degli Inglesi e dei fascisti duri e puri. Irritati per i suoi appelli moderati alla concordia. E poi Mecacci studioso e psicologo, che ipotizza una “ghirlanda fiorentina” di allievi, spie e nemici interni fascisti, che assecondano l’attentato. A seguire una nutrita pubblicistica vittimaria di destra ha rinfocolato la polemica, in odio alla Resistenza e incluso Pansa col suo martirologio sul sangue dei vinti.

In realtà il giallo su questo non esiste. I rei erano confessi. Il commando comunista forzando la mano al Cln fiorentino decide. Figura chiave è Bruno Sanguineti, gappista e primula rossa del Pci, figlio del capitalista Arrigoni, marito di Teresa Mattei il cui fratello Gianfranco era morto sotto tortura a Via Tasso a Roma. Vendetta. Azione esemplare. La Mattei deputata alla costituente e allora studente di filosofia mostrò Gentile agli esecutori. E lo ha raccontato per filo e per segno. Poi sparò il gappista Fanciullacci, accompagnato da altre quattro persone di cui c’è nome e cognome. Fu il Pci fiorentino a decidere.

Ma ecco la tesi di Campi: tutto questo da ricordare è ormai inutile. Quella fu guerra civile spietata e Gentile doveva morire per forza per il clamore del suo gesto di lealtà al regime e per tutta la sua storia di fascista leale e integrale. Non aderire e quindi non esporsi, avrebbe significato per Gentile rinnegare la sua vita e il suo pensiero tutto. E lui stesso profetico lo scrisse, presago di tragedia etica che egli volle assecondare e incidere nella storia sua e della nazione. Esecuzione memorabile in due sensi. Il primo testimoniale e auto biografico lo abbiam detto e Campi lo spiega. Il secondo – e anche questo vien detto – sta nella volontà di marcare una rottura forte e chiara dell’Antifascismo con il fascismo. E proprio con la sua espressione etico politica più alta e significativa. Di là e anzi contro il fatto che Gentile fosse stato protettivo con i perseguitati anche in quella Firenze del 1944 infestata dalla banda Carità.

Certo l’odio era al culmine. E Gentile non lesinò attacchi ai partigiani e ai “riottosi” giustificando rappresaglie pur proteggendo allievi e conoscenti. Le premesse c’erano tutte quindi per l’omicidio e la vendetta storica. E dunque Campi conclude: chiudiamo pagina. Fu guerra civile e non poteva che andare così.

Gran lavorio del libro però per dimostrare una cosa fin troppo ovvia. Determinista. Necessitata laddove il peso di una vendetta familiare è evidente con Sanguineti e Mattei che vendicano Gianfranco Mattei.