San Leone Magno
In queste prime ore di pontificato le analisi si sprecano letteralmente. La gente sta sprecando fiumi di inchiostro per descrivere qualcuno che non ha lasciato grosse tracce. E nessuno sta guardando sul serio dentro questi silenzi. Eppure il silenzio è la chiave di questa scelta così sorprendente del Conclave. Che, pur ispirato dallo Spirito Santo per i credenti, ha seguito logiche molto umane e politiche nel chiedere al Cardinale Prévost di diventare il 267simo successore di Pietro.
Un passo indietro per studiare il contesto. L’80% del collegio era stato scelto da Francesco. Che non è stato, come in molti da destra e da sinistra hanno sostenuto, un Papa progressista. È stato, semmai, un Papa riformatore a metà. La metà che prevedeva le conferenze stampa. Insomma, non è stato Gorbaciov. Semmai è stato Pertini. Una figura carismatica che, però, non ha portato a termine praticamente nulla. Soprattutto, e Becciu era là a ricordarlo a tutti, la riforma che tutti gli chiedevano: quella della Curia Romana.
Se ne è parlato molto poco, ma mentre tutti nei giorni scorsi si concentravano sugli scontri interni al Collegio Cardinalizio intorno ai matrimoni gay, in pochi parlavano delle Mura Leonine e dei veleni che copiosi vi scorrevano dietro. Lo abbiamo visto chiaramente negli attacchi a Parolin, che generosamente si è sacrificato per fare da scudo a questo Papa su cui non ci sono dossier perché non si è dato tempo ai corvi di lavorare, né indizi sul nome contro cui confezionarli. Questo Conclave, descritto come frazionato, è riuscito a lavorare in maniera sorprendentemente coordinata e con un obiettivo preciso: eleggere un curiale che, prima dello scisma, mettesse in ordine i conti della Chiesa e chiudesse i conti con la Curia.
Aspettate un istante, scisma? Sì, scisma. Di chi, è ancora da determinare, al momento potrebbe essere una rivolta conservatrice Afro-Americana o una liberal tedesca. Ma che ci sia appare inevitabile. Francesco doveva servire anche a quello: fare riforme ecclesiastiche che proteggessero la dottrina e togliessero armi a chi voleva rompere. Il tentativo è naufragato, come il Sinodo Italiano, con i laici che obbligano i Vescovi a ritirare il documento finale, dimostra. La Chiesa tedesca è sempre più ribelle. Quella USA sempre meno docile ai pastori nominati da Francesco in ottica normalizzatrice.
Quindi non pare più questione di “se” ma di “quando”, “chi” e, più di ogni altra cosa “in che condizioni ci arriverà la Chiesa”. Francesco lascia i conti in profondo rosso, una Curia devastata, con scelte che si sono rivelate scandalose, vedasi Becciu, o non difese seriamente pur se innocenti, vedasi Pell. Leone XIV è una scelta che risponde a questa domanda di ordine con tutte le caratteristiche giuste: parla poco, lavora in squadra e molto.
La vogliamo dire una verità che non è uscita molto in questi anni? Con tutto il suo carisma, Francesco è stato un Papa indisciplinato. All’inizio era una cosa divertente. Alla fine, decisamente no. Il Carisma, nel senso laico e comunicativo del termine, è opzionale nella Chiesa. L’efficienza, soprattutto oggi, no. Era anche un accentratore Bergoglio. Un Commissariatore di realtà ecclesiali (si vedano i Frati dell’Immacolata o la vicenda di Comunione e Liberazione). Ma il Centro non era, e non sarà mai, in grado di gestire le beghe interne dei monasteri, non se vuole tenere i conti in ordine e la Chiesta stabile.
Prévost risponde, ancora una volta, perfettamente a tutte queste esigenze. Lavora in gruppo, si diceva. Tanto che Melloni, su Repubblica, arriva a dire che sia stato votato da Muller e da Marx. Entrambi tedeschi, molto diversi e distanti su tutto. Nelle Congregazioni Generali si è parlato anche di un collegio di Cardinali che affianchi il Papa. Francesco o Tagle non erano figure affiancabili. Parolin era un affiancatore naturale. L’unico davvero centrale in tutto questo era il Papa agostiniano, venuto dalla quasi fine del mondo per finire, quasi certamente, il lavoro del suo predecessore.
Ovvero, lo ripetiamo, la riforma della Curia per corazzare la Barca di Pietro contro i marosi dello scisma e prepararla per acque basse e paludose del declino dei credenti. Il nome scelto riflette queste due esigenze: Leone XIII fermò il comunismo con un cattosocialismo in cui si spiegava ai ricchi e ai liberali che, se volevano tenersi capitali e libertà, dovevano cedere qualcosa ai poveri. E San Leone Magno, che fermò Attila alle porte di Roma. Qualcuno vede in questo rimando un riferimento al ruolo che dovrà giocare con Trump. Bisogna essere davvero molto ingenui per non vederlo, in effetti. In ogni caso, tutte queste considerazioni saranno secondarie rispetto alle due sfide del Pontificato: ripulire la Curia, con riforma finanziaria inclusa, e corazzare la Barca di Pietro.
Insomma, una scelta che si è fatto di tutto Oltretevere per tenere coperta ma che, a bocce ferme, sembrava quasi inevitabile. Come il colpevole in un giallo di Agatha Christie. Speriamo solo, perché della Chiesa il mondo ha ancora bisogno, che questo Pontefice mite e operativo riesca nel suo impegno e non si faccia paralizzare dal peso della macchina che, per i credenti, lo Spirito Santo ha chiamato a riparare.