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America’s Cup a Napoli, occasione ma anche rischio

trasformazioni compatibili con la sua natura, non va cementificata

by Giovanni Squame
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L’America’s Cup è il trofeo più importante e famoso nel campo dello sport velico ed è anche il più antico trofeo internazionale. Fu fondato nel 1851. L’annuncio nei giorni scorsi della sua assegnazione a Napoli nel 2027 è stato salutato con grande soddisfazione e come una straordinaria occasione per la città per accogliere poi altri grandi eventi, consentendole di dotarsi di infrastrutture e di opportunità oggi carenti, per il definitivo inserimento nel circuito internazionale delle città ospitanti eventi e iniziative di qualità sui diversi fronti dell’economia urbana e delle attività culturali e ludico sportive.

Questo annuncio è stato accompagnato però anche da uno sgradevole commento (La Repubblica Napoli del 21 maggio), replicando una precedente intervista di tempo addietro, del Presidente dell’Unione industriale di Napoli che all’interno di un ragionare pur condivisibile ha bollato le scelte di piano esecutivo vigente dell’area occidentale come scelte “ideologiche”, quindi da rimuovere “perché piano redatto trent’anni fa”. Il riferimento all’area occidentale di Napoli ed a Bagnoli in particolare è dovuto perché sarà quello il luogo principale della manifestazione, in particolare per il villaggio e la logistica. Le gare vedranno il golfo come principale campo delle sfide.

Gli industriali napoletani, molto tiepidi all’atto dell’approvazione del piano esecutivo dell’area circa trent’anni or sono, hanno sempre mal digerito la sottrazione dell’ambito Bagnoli all’iniziativa privata per assegnarle una funzione totalmente pubblica: la bella e grande spiaggia al servizio di tutti i cittadini di Napoli – attualmente solo in prossimità della rotonda Diaz su via Caracciolo c’è una piccola spiaggia per i napoletani che “non vanno in vacanza” – e il grande parco pubblico di 130 ettari sulle aree liberate dall’acciaieria, (si conservano alcuni importanti manufatti industriali della vecchia fabbrica come archeologia industriale).

Per tornare alla “ideologia” ho trovato strumentale, inutilmente polemico ed eccessivo l’uso di questa terminologia; consentire ai napoletani l’uso di una spiaggia pubblica, bonificata, delle dimensioni di quella di Bagnoli e dotare la città di un grande parco verde, come del resto ci sono in tutte le grandi città europee, ma anche in città italiane, è piuttosto una scelta di civiltà, è ideologia? In genere si abusa di questo termine per indicare scelte non gradite e non immediatamente remunerative. Uno scenario di buon senso viene rimesso in discussione nel modo peggiore, immotivato e pregiudiziale. Replicata, quella definizione, può solo indicare che lo sviluppo della città è concepito avendo prevalenza nell’occupare, con interventi edilizi, suolo pubblico. Gli interessi di parte, pur legittimi, non possono identificarsi come i prevalenti interessi della città. Il buon senso suggerirebbe che gli spazi pubblici, ossia di tutti, poveri e ricchi, vanno tutelati, protetti ed attrezzati perché tutti ne usufruiscano; sottratti alla speculazione privatistica e utilizzati per il godimento della generalità dei napoletani e degli ospiti della città. Scelta che fu condivisa, allorché il Consiglio Comunale, la massima Assemblea elettiva, approvò il Prg e il piano esecutivo di Bagnoli Coroglio. Scelta di grande lungimiranza in una città che ha voluto arricchire la bellezza del suo mare con tante altre infrastrutture che rendono la vita dei napoletani e dei visitatori serena, tranquilla, riposante.

I grandi eventi devono trasformare i luoghi, non stravolgerli e le soluzioni per la convivenza di opere, si auspica non invadenti, e pianificazione sono possibili se si manifesta una disponibile volontà a rendere Napoli la città internazionale aperta a tutti e da tutti apprezzata per la varietà di soluzioni offerte ai diversi ceti sociali che la abitano e la frequentano e ai diversi operatori economici, sportivi, culturali che la utilizzano. Napoli città di tutti e per tutti. Sarebbe tradirne la natura, l’anima, l’apprezzamento che ha ora nel mondo pensarla con un modello di sviluppo che ne neghi la storia. Città ricca di tradizioni, sono in corso le celebrazioni per i suoi 2500 anni, esposta alle invasioni dal mare e delle popolazioni del Nord Europa, ha convissuto con le diverse civiltà, ne è stata permeata; quello che è ora, nella struttura urbana, nelle scelte urbanistiche, nel rapporto tra le persone è il frutto di stratificazioni storiche; quello che è ora l’ha resa ambita meta turistica. Mandolino e pizza sono già superati, appartengono alla tradizione e al suo al passato oleografico. Questa città non potrà mai essere la città dei palazzoni del Centro Direzionale, seppure anche quello è storia urbanistica.

Per i grandi eventi non va stravolta, se ne mina la natura di città dell’accoglienza, del cuore, del calore umano. Per i grandi eventi la città va accompagnata con intelligenza e trasformazioni compatibili con la sua natura più intima, non va cementificata. Va salvaguardata la sua bellezza e vanno salvaguardati i programmi che la rendono ancora più bella ed accogliente. Ed è necessario pensarla per i grandi eventi, conciliando le nuove opere necessarie con la sua millenarietà e la sua struttura urbana. America’s Cup occasione ma anche rischio. L’intelligenza degli Amministratori saprà guardare aventi evitando ogni rischio di nuove colate di cemento.