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Venezia tra sfarzo e sdegno: le reazioni al matrimonio di Jeff Bezos

può la bellezza essere affittata senza perdere dignità?

by Francesca Pica
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Ora che i tre giorni di festeggiamenti per il matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sanchez a Venezia si sono conclusi, scopriamo che qualcosa ha rammaricato il fondatore di Amazon. Alle persone più strette avrebbe confidato di non aver compreso le contestazioni esplose in città. “Noi amiamo Venezia – avrebbe detto – e contribuiremo alla sua salvaguardia”. E come avrebbe potuto comprendere? Solo chi vive Venezia sa che la città lagunare sopporta da anni un problema di overtourism con turisti e grandi navi che mettono a repentaglio la città. È comprensibile che c’è chi ha visto nel matrimonio extralusso un’esasperazione di questa situazione con la città che sarebbe stata “svenduta” piuttosto che tutelata.

Come ogni grande evento che si rispetti, anche questo ha diviso le opinioni. Tra chi ha applaudito al ritorno economico e chi ha visto nella circostanza l’ennesima cartolina turistica che svende una città già fragile, sfibrata da un turismo sempre più predatorio. Eppure, c’è qualcosa di profondamente emblematico nel fatto che Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, abbia scelto Venezia per sposarsi con Lauren Sánchez. Una città sospesa tra storia, acqua e precarietà. E un uomo che ha fatto del futuro, e della conquista del cielo, la sua impresa quotidiana. Due mondi apparentemente lontani che si sono incontrati in un matrimonio da copertina.

Per alcuni è stato un trionfo di bellezza e glamour: l’arte che incontra il denaro, il jet-set internazionale che fa tappa tra i canali, la cultura che si veste d’alta moda. Venezia è tornata al centro del mondo, la città, raccontano i sostenitori, ne esce vincente: con 40 milioni di euro in indotto stimato, donazioni alle istituzioni culturali, risonanza globale. E poi: palazzi restaurati, posti letto riempiti, lavoratori impiegati, turisti incuriositi. In tempi di magra, c’è chi considera un onore finire nella lista dei desideri di un miliardario.

Ma dall’altro lato, la critica non si è fatta attendere. Cortei di protesta, striscioni appesi, artisti e attivisti che hanno accusato Bezos di essersi “comprato Venezia per tre giorni”, come fosse un fondo di investimento. Per loro, non è stato un evento, ma l’ennesimo segnale di una deriva: Venezia ridotta a set, a palcoscenico privatizzato. Un luogo dove la bellezza non è più condivisa, ma noleggiata.

Il vero interrogativo non riguarda solo Bezos, ma noi. Fin dove può spingersi il privilegio, anche se legittimamente conquistato? È accettabile che una città patrimonio dell’umanità venga trasformata in un wedding resort? Dove finisce il diritto individuale di godere della bellezza, e dove inizia il dovere collettivo di proteggerla? Lusso e cultura non sono incompatibili, ma in questo caso si sono toccati in modo così vistoso, così vistosamente sbilanciato, da sollevare un senso di dissonanza. Il matrimonio è sembrato quasi una performance: esclusiva, opulenta, blindata.

Che ci piaccia o no, Venezia è il simbolo perfetto di questo nostro tempo. Fragile, ambita, strattonata tra la memoria e il desiderio, tra la poesia e il profitto. E il matrimonio di Bezos ne è stato, in fondo, il paradosso vivente: un evento privato vissuto sotto gli occhi di tutti, una cerimonia che ha celebrato l’amore… e fatto discutere di capitalismo, sostenibilità, senso del limite. Oggi che le luci si sono spente e gli invitati sono tornati ai loro jet privati, quello che resta non è solo un servizio fotografico su “Vogue”. Resta una domanda sospesa nell’aria calda e umida della laguna: può la bellezza essere affittata senza perdere dignità?

 

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