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LE CITAZIONI: Ramondino. Sentirsi ‘carne’ a Ventotene

Fabrizia Ramondino

by Ernesto Scelza
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Sempre più appare come una delle maggiori scrittrici del nostro Novecento, Fabrizia Ramondino, di cui ‘Nutrimenti’ ristampa ‘L’isola riflessa’, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1998. E l’isola del romanzo -autobiografico, storico, metafisico- è Ventotene, luogo di confino già prima del fascismo: “Vi fu confinata Giulia, la figlia ribelle dell’imperatore Augusto, per scontare la pena di adulterio: se si presta attenzione si avverte ancora il suo urlo da prigioniera intrappolato nel mare. Lo stesso infausto destino toccherà a Scribonia, Agrippina, Ottavia e ad altre donne della dinastia giulio-claudia. Alla prigionia delle imperatrici seguì quella volontaria degli eremiti medievali, infine fu il tempo del confino degli esiliati politici durante il fascismo” (Alice Figini). 

 

«A poco a poco dai volti degli isolani cadono le maschere che li hanno portati sul palcoscenico turistico. Una maschera, infatti, come sa ogni vero attore, ti porta – non sei tu a portarla.

I volti, pur essendo meno sorridenti, sono piú carezzevoli, piú rilassati i gesti, piú fiero e nel contempo piú umile il portamento, piú lenta l’andatura; le parole, piú pastose, non sono piú affilate dall’italiano.

Ora in tutti loro si riconoscono i padri e talvolta i piú lontani antenati, così come il loro individuale passato è scritto nel loro presente – ora che possono fare a meno del presenzialismo.

(…) Quanto a me sono in vari modi intrusa, estranea tanto alla comunità isolana che a quella turistica estiva; e a ciò si aggiunge che sanno, perché lo vedono, che scrivo, e che mormorano che scrivo proprio della loro isola, ché l’ho detto per necessità a qualcuno. E temono forse che li derubi della loro immagine.

Strana attività quella dello scrivente in un tempo e in un luogo dove da poco sono scomparsi gli scrivani pubblici e non sono ancora conosciuti gli scrittori – e dove libri e quaderni si presentano con gli stessi colorati simboli, nelle stesse colorate confezioni di magliette, formaggini e saponi.

Sicché, oltre l’indifferenza moderna, percepisco come in filigrana la segreta ostilità della comunità che mi ospita.

Si dice che gli aborigeni dell’Australia, come gli zingari, chiamino «la carne» gli stranieri, e che noi bianchi e sedentari rappresentiamo per loro un’ottima ‘carne’, perché è facile andarne a caccia.

Per gli isolani i turisti sono un’ottima carne e senza fretta l’attendono all’obbligato passo stagionale. Ma al posto di ‘carne’ dicono “risorsa economica”, come si usa nel nostro mondo civile.

Al mio disagio si aggiunge la consapevolezza di rappresentare per loro una pessima ‘carne’.

Stavo guardando il mare e chiaro all’orizzonte il continente, con tracce di giallo e arancione per l’ultimo sole (…). A un tratto si è frapposta fra me e l’orizzonte una voce:

– È bello il mare eh!

Fra il muretto dove sedevo e l’alto limite dell’isola c’era un pezzetto di terra e su di essa un uomo appoggiato a una zappa mi squadrava.

– Sí, è bello… – ho detto confusa. – Buona sera –. E dopo aver finto di leggere mentre l’uomo riprendeva a zappare, mi sono allontanata. Davvero non lo avevo visto. Perché conosco le regole e le avrei rispettate: a chi sta lavorando non piace essere guardato da chi è in ozio. Il contadino l’ha sempre considerato mancanza di rispetto e offesa. A meno che non sia l’occhio del padrone, alla cui misurazione non si può sottrarre. Anche perciò, per evitare il rapporto troppo umano e quindi pericoloso socialmente tra sorvegliante e sorvegliato, sempre di piú nelle fabbriche si ricorre a sistemi di controllo meccanizzato.

Questo pudore dell’uomo che zappava, da me involontariamente violato, mi è parso come la memoria in lui dell’irriducibile bisogno di libertà e dignità, che pur nella peggiore oppressione conservavano i suoi antenati – o come il riflesso in lui di coloro che ancora la patiscono.»

Fabrizia Ramondino, L’isola riflessa.

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