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Addio Sanders, con te se ne va la Primavera

by Luca Rampazzo
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Sanders

Come può uno scoglio (rosso) arginare il mare (blu, colore dei democratici americani)? Risposta: non può. Sanders se ne deve essere reso conto quando gli hanno comunicato i risultati del Nord Dakota. Che dava pochi delegati più del mio condominio, 20, ma era un simbolo implicito della gara. Facciamo un passo indietro per capire cosa sia andato storto.

Sanders quindici giorni fa sembrava il candidato anti Trump. Pochi avversari interni (due, donne, con meno soldi e meno esperienza di primarie) e molti, molti avversari a contendersi l’area moderata. In mezzo a loro primeggiava un illustre sconosciuto, amministratore della Pavia d’America, South Bend, ed un miliardario che incombeva minaccioso all’orizzonte. Poi è successo qualcosa. Da Dixieland è sorto un anziano signore che pareva destinato a perdere ovunque. Iniziando con gli schiaffi presi in Iowa e New Hampshire.

Questo arzillo vecchietto ha vinto in South Carolina, eliminato il Sindaco della Pavia a stelle e strisce, una simpatica signora moderata che passava di là (Amy Klobuchar, che finì i soldi prima dei voti) e si è presentato al super martedì facendo evaporare pure il miliardario che voleva comprarsi i Democratici, passando in testa. A quel punto la questione per Sanders si faceva spinosa, perché adesso votano un sacco di stati del Sud, in cui lui è destinato a perdere. Però poteva tornare in carreggiata. Per farcela doveva vincere in Michigan, lo stato con più delegati al voto.

E, dettaglio dato per scontato, negli stati di Washington (non la capitale, quello poco sotto l’Alaska) e Nord Dakota. Non per i delegati, ma per l’umore della truppa. Lo stato di Washington vota sempre quelli che stanno due passi a sinistra di Che Guevara e danno del fascio a Castro. Mentre il nord Dakota lo aveva vinto nel 2016 e ci si sentiva a casa. Bene, è finita che a Washington si contano i voti, perché sono in parità. Ed in Nord Dakota ha probabilmente perso. Voi capite, signori miei, che qui la situazione è fosca.

Ah, giusto, dimenticavamo il Michigan. Là ha direttamente perso. Il sistema Democratico è strettamente proporzionale e siccome ora in gara sono solo in due, fare il 50%+1 assicura una vittoria matematica ed incontestabile. Biden ha fatto il 55%. Game, set, match. Il suo discorso di vittoria, in cui chiede a Sanders di battere insieme Trump sa molto di accettazione della nomination. In queste condizioni il silenzio di Sanders vale come mille ore di retorica. Non c’è la certezza che si ritiri solo perché domenica 15 marzo è previsto un dibattito televisivo. L’ultima chance per Sanders di lanciare un messaggio a cui lavora da trent’anni. Il prossimo giro le primarie le guarderà nella sua modesta dimora da qualche milione di dollari in Vermont. Quindi potrebbe farsi un altro giro di giostra prima di ritirarsi. Chi lo sa.

Di sicuro è finita: Biden è in testa, al momento in cui questo articolo viene scritto, di 160 delegati, senza contare quelli che i suoi ex avversari gli porteranno in dote. E con un sistema proporzionale i recuperi miracolosi sono quasi impossibili. Certo, Sanders potrebbe evitare di arrendersi fino alla fine, ma uno svantaggio del genere, in questa situazione non è recuperabile. Soprattutto ora che con l’emergenza Coronavirus i comizi sono da evitare.

Insomma, sarà il secondo tempo del 2016, con tutti i problemi per i democratici intatti rispetto alla volta scorsa, ma con un’esperienza che favorirà una gara più aperta: stavolta, ad esempio, non saranno dati più per scontati gli stati della Rust Belt, che restano contendibili. Per quanto le scelte economiche di Trump, finora, si siano rivelate singolarmente fortunate. Vedremo.