fbpx
Home COVID 19 Investire in opere pubbliche per superare l’emergenza

Investire in opere pubbliche per superare l’emergenza

by Gian Marco Ceccobelli
0 comment
opere pubbliche

L’autore è il Direttore dell’UCSI – Unione Consorzi Stabili Italiani.

Ci ha colti davvero alla sprovvista, eppure per qualche tempo ci dovremo convivere. Con le conseguenti limitazioni e, purtroppo, anche con le conseguenze economiche che ne deriveranno.

Mentre ce ne stiamo chiusi in casa (è un problema, ma non enorme, almeno per questi primi giorni) riflettiamo anche che il virus passerà ma lascerà dei segni. Il primo, il più tangibile, le vittime. E poi altri problemi: psicologici (siamo una Società dannatamente fragile), politici, economici. Ieri Trump ha detto: “ci ha colti impreparati, ma abbiamo una economia forte, ci riprenderemo”. Noi non abbiamo una economia forte.

Che succederà in Italia nei prossimi mesi? Sono state stanziate cifre considerevoli e, sicuramente, oltre ai politici c’è altra gente che sta studiando dove indirizzare tali risorse. E come è sempre avvenuto nel nostro povero Paese, sarà una battaglia per stabilire chi ha più bisogno o più diritto. E alla fine saremo tutti scontenti.

Perché è fisiologico che una fetta consistente di quanto stanziato finirà nel calderone dell’assistenzialismo, un’altra nelle mani di chi è arrivato prima. O quanto meno ha preparato per primo la documentazione necessaria. Appunto, è fisiologico. Ed un’altra parte consistente finirà agli amici degli amici, a chi porta voti, a chi ha i giusti rapporti. Anche questo è fisiologico? Può darsi.

Ma forse questa è la volta buona che qualcosa (non tutto) cambi. Qualcosa che riguardi, per esempio, la programmazione e quindi l’organizzazione di un futuro migliore. Ridotti nelle nostre case, davanti ai computer ed alla televisione, riusciamo a riflettere meglio e con maggiore attenzione su cosa non ha funzionato e come potremmo fare meglio. Noi abbiamo grandi imprenditori, gente capace di farsi valere anche con i notevoli handicap che comporta il vivere in Italia. Tasse elevate e burocrazia, soprattutto.

Vivendo nel mondo delle costruzioni, siano esse pubbliche o private, infrastrutturali o immobiliari, mi sono trovato a verificare, negli ultimi quindici anni, un progressivo abbassamento della quantità di opere commissionate. Un po’ dal privato, ma soprattutto dal pubblico. Ciò ha comportato che si registrano, rispetto ai primi anni del duemila, un numero di iscritti alle casse edili di circa 600 mila unità in meno. Un numero enorme.

Comprendendo che, almeno nel privato, la saturazione della domanda di abitazioni e di volumi in generale non può non avere conseguenze sull’offerta di lavoro, nel settore pubblico il panorama appare completamente diverso, meno giustificabile.

L’Italia sta sempre più peggiorando su due campi estremamente importanti: copertura del livello infrastrutturale e difesa del territorio. Basterebbe un impegno diverso in questi due settori per rilanciare il Paese. Prima come aiuto al PIL, poi come effetto indotto dalla maggiore infrastrutturazione per gli altri settori produttivi.

Per esempio, la realizzazione dell’Alta Velocità ha prima sostenuto l’economia nella fase di costruzione, sia della rete che dei treni. Poi, migliorando i tempi complessivi degli spostamenti (sia per le persone che per le merci), contribuendo ad un aumento della competitività dei nostri prodotti, compreso il turismo. Perché interrompere questo processo e, anzi, perché non svilupparlo ulteriormente anche in altri ambiti (strade, edilizia ospedaliera, edilizia scolastica, infrastrutture sportive, manutenzioni)? Una situazione analoga si avrebbe per le opere di difesa del territorio, con effetto indotto sul turismo e sulle nostre croniche “spese per l’emergenza” (senza contare le vittime).

Oggi si stanno stanziando cifre importanti per sostenere l’economia rispetto agli effetti dell’epidemia da Coronavirus. Non so se saranno interessate anche imprese di costruzione e neppure riesco a concepire che tipo di aiuto verrà offerto. Temo l’assistenzialismo fine a se stesso, ma spero in aiuti concreti per poter continuare ad operare.

Sono però convinto che la cosa più importante sia quella di ricominciare (o cominciare, ma avrei preferito dire “continuare”) quel processo di investimento nel nostro settore che dovrebbe essere in atto da tempo, ma che non riesce a decollare.

Le cifre appena stanziate dal Governo per mitigare gli effetti del Coronavirus devono essere ripartite in maniera adeguata. Ma le somme già stanziate da tempo per opere pubbliche, di nuova realizzazione o per manutenzione, devono essere impiegate nel più breve tempo possibile, in modo che il Paese possa vivere la sua ennesima rinascita.

E’ noto da tempo che ci sono stanziamenti (Comunitari e nazionali) non utilizzati a causa di difficoltà nell’approvazione dei progetti, per l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni e/o per il mancato completamento dell’iter burocratico. Questo non è più tollerabile! E’ ora che lo Stato, attraverso i suoi legislatori, ci liberi dalle pastoie che bloccano un settore fondamentale per il rilancio dell’economia. Le regole devono servire per consentire di “fare” e non per bloccare. Fare bene, ovviamente, ma fare. Anche nel campo della difesa del territorio, del recupero del patrimonio edilizio con il miglioramento della capacità antisismica, del contenimento energetico (a proposito di questi due argomenti, sono purtroppo finora poco utilizzate le normative che consentono lo sgravio fiscale e la possibilità di trasferire il credito alla ditta esecutrice).

La scelta dell’allocazione delle risorse disponibili, comunque limitate per loro natura, costituisce il momento culminante dell’attività politica, stadio finale di un percorso a volte tortuoso. Indirizzarle nella maniera migliore può portare la Società ad un miglioramento più o meno sensibile.

Nel passato, le anomalie in questa allocazione, insieme alla difficoltà nel trasformarle in effettive opere infrastrutturali, a causa di difficoltà soprattutto di ordine burocratico, hanno frenato la rinascita del Paese. Ora non ce lo possiamo più permettere.