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C’è poco da festeggiare.

by Flavio Cioffi
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Il Presidente Mattarella, in televisione, si è appena detto fiero del suo Paese. Vorremmo essere tutti d’accordo con lui, a molti però riesce difficile. Si poteva fare di più e meglio per affrontare l’epidemia? Non lo so. Forse nelle condizioni date, conseguenti a politiche liberiste e populiste (non è un ossimoro) di ormai lungo periodo e di corto respiro, sarebbe stato davvero difficile operare scelte radicalmente diverse e di maggiore efficacia. Ma, di nuovo forse, non impossibile.

Il problema non è legato solo alle condizioni nelle quali versa il sistema sanitario, per certi riguardi peraltro eccellenti, ma proprio al funzionamento delle Istituzioni. L’emergenza che stiamo vivendo ha evidenziato la loro inadeguatezza ed accelerato il loro sgretolamento. Inadeguatezza individuata già da tempo e già da tanti osservatori, anche se non nelle proporzioni attuali.

La Prima Repubblica dicono sia finita da molti anni e che ce ne sia stata una Seconda ed oggi addirittura una Terza. Ma le norme che la regolano sono sostanzialmente le stesse (con buona pace dell’infausta riforma del Titolo V della Costituzione), gli organi che l’amministrano restano quelli di prima, l’organizzazione dei vari poteri dello Stato è rimasta inalterata. Nella società reale, invece, molte cose sono cambiate e questo segna una distanza fattuale tra i cittadini e le istituzioni che si riflette pesantemente sulla qualità della gestione della cosa pubblica.

Il sistema giudiziario non è stato riformato in alcun modo perché è prevalso il timore di una sua “normalizzazione” e i risultati, oggi, sono sotto gli occhi di tutti. Il sistema legislativo è rimasto quello del bicameralismo perfetto, un meccanismo inefficiente e fuori dal tempo che ha ridotto il Parlamento ad essere un impaccio piuttosto che una risorsa. Il sistema esecutivo si dibatte nelle contraddizioni di un regionalismo raffazzonato che ne limita l’azione alla pura contingenza, tarpando le ali a qualsiasi tentativo di vera pianificazione.

Oggi potrebbe non esserci più il tempo per giocherellare con nuove leggi elettorali o con l’autonomia differenziata o con la riforma del CSM. Il Paese è in crisi economica dal 2008, ha incassato in pieno i colpi dell’epidemia, la sua macchina produttiva stenta a ripartire. Questo può significare, detto in parole povere, disoccupazione e povertà.

Serve un piano di sviluppo di lunghissimo periodo concertato tra il mondo politico, del lavoro e dell’impresa al quale agganciare una vera riforma istituzionale. Non è cosa di un momento. Quindi diamo le risposte immediate che la situazione richiede, evitando che la politica con la p minuscola e il lobbismo becero si spartiscano la torta degli aiuti economici che si stanno definendo, e avviamo il confronto per una ripartenza condivisa.

La Repubblica va riformata.