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Che fine hanno fatto le ZES?

by Pietro Spirito
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L’Autore è Presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno centrale

Sulle zone economiche speciali (ZES) nelle regioni meridionali del nostro Paese, quando se ne parla, si continuano spesso ad utilizzare luoghi comuni che non aiutano ad indirizzare verso le decisioni davvero necessarie per raggiungere gli obiettivi di attrazione degli investimenti e di sviluppo produttivo.

Si dice che siano passati anni dalla istituzione delle ZES senza che nulla sia successo. Spesso confondiamo l’approvazione di una legge con l’esistenza delle condizioni perché sia effettivamente applicabile. Magari. In questo caso si parte con il decreto Mezzogiorno, poi convertito in legge dal Parlamento. Seguono due Dpcm che definiscono le condizioni in base alle quali si possono presentare al Governo da parte delle Regioni la perimetrazione territoriale delle ZES ed il connesso piano strategico. Poi interviene il Dpcm per la costituzione della ZES. Successivamente devono essere nominati i componenti del Comitato di Indirizzo. Infine, viene deciso che per ogni ZES deve essere nominato un Commissario Straordinario (se ne è nominato sinora uno solo, in Calabria).

Sin qui, siamo solo alla architettura amministrativa del funzionamento, senza che alcun effettivo meccanismo sia stato ancora messo concretamente in campo affinché le imprese passano prendere le proprie decisioni. Calcio parlato, insomma. Diciotto mesi per la Campania, nemmeno tantissimo per lo standard italiano.

Veniamo invece al calcio giocato, quello che davvero serve per attrarre aziende ed investimenti. I due pilastri su cui si fondano le ZES nelle regioni meridionali sono il credito di imposta e la semplificazione. Non è molto, se compariamo questa strumentazione incentivante con le oltre 5.000 ZES sparse in giro per il mondo: nei casi di maggior successo sono disponibili poderose riduzioni di carico fiscale, quelle che davvero sono in grado di attirare le imprese per l’immediato vantaggio che si determina per la competitività sui costi. Comunque, in Italia possiamo contare solo su credito di imposta e semplificazioni, oltre che su una serie ulteriore di incentivi che possono essere messi a disposizione dalle Regioni.

Il credito di imposta per le ZES è diventato operativo soltanto a partire dal 25 settembre 2019, pochi mesi prima che intervenisse la nuova gelata determinata, ad inizio marzo 2020, dal lock down pandemico. Ma vi pare davvero che esistano ora le condizioni per attrarre investimenti, mentre dovremmo forse piuttosto evitare che accada una nuova desertificazione dell’apparato produttivo e commerciale nel nostro Mezzogiorno?

La semplificazione, poi, non è proprio nemmeno cominciata. Se ne è tanto parlato, per praticarla davvero poco. Quando si è messo mano alle norme, si sono ridotti i tempi di alcuni procedimenti, senza però inserire la clausola conclusiva del silenzio assenso. Vale a dire che, con qualunque richiesta di chiarimento in corso di procedura, i tempi si dilatano e diventano nuovamente incontrollabili.

In linea generale, invece di tagliare seccamente una serie molteplice di passaggi amministrativi e burocratici che scoraggiano l’insediamento di una impresa (se ne contano sino a trentaquattro), si è aggiunto un altro strato alla cipolla esistente. Tale constatazione è particolarmente chiara se affrontiamo il tema della costituzione dello sportello unico ZES. Intanto solo a contare quanti sono gli sportelli unici in Italia ci si rende conto che qualcosa non torna: sportello doganale unico, sportello amministrativo unico, sportello unico delle attività produttive…Già lessicalmente c’è qualcosa che non torna.

Lo sportello unico della ZES, l’ultimo nato in famiglia, si configura in realtà non come l’informatizzazione di un processo di semplificazione, ma come la giustapposizione informatica di un ulteriore strato burocratico, peraltro senza alcun potere, rispetto alla struttura esistente degli altri sportelli amministrativi, definiti peraltro egualmente unici.

Uno sportello unico vero avrebbe senso se si introducesse una autorizzazione unica, come peraltro è stato richiesto dalle Regioni meridionali nella Conferenza Stato Regioni.

Se invece lo sportello unico diventa l’ennesimo passaggio amministrativo, che peraltro viene messo in connessione con SUAP comunali che non si avvalgono dello stesso strumento informatico, si compie una operazione di pura facciata, che non consente alcun miglioramento sui tempi effettivi con i quali si possono ottenere le autorizzazioni necessarie per l’insediamento di nuove aziende.

Solo brutte notizie, dunque dal fronte delle ZES? No, perché intanto si è allargata la possibilità di investimenti anche nel settore della logistica, prima escluso (codice Ateco 52), e perché si cominciano ad aprire spiragli per la costituzione delle zone doganali intercluse, particolarmente interessanti per chi può lavorare su materie prima e semilavorati importati in regime di sospensione di imposta, per poi esportare il prodotto finito sui mercati internazionali.

Insomma, di lavoro da fare ce n’è. Soprattutto c’è da mettere nel conto che processi di trasformazione complessi non si realizzano nell’arco di poco tempo, e cominciano ad essere credibili quando sono davvero esigibili gli strumenti in base ai quali possono essere raggiunti gli obiettivi definiti.