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Come un cerino al vento: a fuoco grattacielo di Milano

by Luca Rampazzo
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“Mai vista una cosa così”. Giuliano Santagata, comandante dei vigili del fuoco di Milano, dichiara a Il Giorno. “È probabile che la facciata fosse fatta di materiale molto combustile“. Così afferma una persona titolata a parlare. E noi a questo ci fermiamo. Al resto penserà la magistratura. Ma di certo la narrazione va completata, perché un incendio del genere non si era visto mai a Milano.

Tutto è iniziato attorno alle 17,30 e non è ancora finito. Il palazzo brucia ancora. Le prime avvisaglie si sono avute con il fumo che si alzava dal quindicesimo piano. E poi giù, piano dopo piano, fino ad avvolgere l’intero edificio. Una fortuna, questa, perché se fosse successo il contrario staremmo contando i morti a dozzine. Invece si sono salvati tutti, almeno stando a quanto dichiarato dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala, ieri sera. I Vigili del Fuoco, almeno nella mattina di lunedì, erano riusciti a verificare i piani solo fino al sesto.

Anche perché, come detto, il rogo è quasi completamente spento. Ma non del tutto. Le cause sono in via di accertamento, naturalmente. L’innesco si ipotizza possa essere stato un cortocircuito. E il combustibile appare chiaro sia stato il rivestimento esterno. Il sottosegretario Sibilia ha ipotizzato si trattasse di un cappotto termico. È ancora presto per saperlo, di sicuro va spiegato con chiarezza che si tratta di una costruzione recente, di pregio ed è posto in un contesto di alto livello. Non si tratta quindi, come qualche testata ha ipotizzato, di un caso simile alla Grenfell Tower di Londra, dove, tra gli altri, hanno perso la vita due nostri concittadini.

Di certo l’emozione che domina, anche leggendo i giornali locali e parlando con i Milanesi, è lo stupore. Quel rogo è simbolico. Milano è i suoi grattaceli, in un certo senso. La verticalità negli ultimi venti anni è divenuta simbolo di una Milanesità che si contrappone all’Italianità fatta di spazi orizzontali. Una cosa che mi ha sempre colpito, e che rende bene l’idea, è che il prezzo delle case sale al salire del piano. Milano, come alcune persone, è bella se vista da lontano e dall’alto. Faccia a faccia perde molto. Ma dall’alto, è uno spettacolo mozzafiato. Veder bruciare un simbolo del genere ha un impatto psicologico, è innegabile.

Dà l’idea di una città dove tagliare gli angoli sta diventando cosa comune. Capiamoci: si è sempre fatto, sia chiaro. Ma quando la cosa te la sbattono in faccia fa ugualmente male. Tanto da far partire delle risposte condizionate inconsulte. Ieri sera era tutto un pullulare di richieste di far partire una colletta per gli sfollati. Neanche fosse bruciato un palazzo di operai. Il Milanese non concepisce che le case dei ricchi brucino. Che anche i palazzi nuovi possano essere fallati. Non concepisce la frode in commercio tra magnati. È un limite antropologico grave. E quando una torcia alta sedici piani ti illumina l’errore è di solito troppo tardi per farci qualcosa.

E così, mentre il palazzo si raffredda, su tutti i giornali rimbalza la notizia, detta con un pizzico di orgoglio: lo scheletro è saldo. Il grattacielo non crollerà. Qualcosa resiste. Mi ricorda molto quando, all’indomani della tragedia del Vajont, qualcuno fece notare che la diga aveva retto all’apocalisse. Qui almeno non ci sono stati morti, ma non si può non notare l’assurdo di complimentarsi della resistenza del cuore in calcestruzzo quando del palazzo resta solo quello…