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Perché scegliere l’Italia. Le riflessioni di un imprenditore europeo

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Eric Veron è un imprenditore nato in Olanda. Ha girato il mondo, e conosce molto bene il mondo degli affari. Di Paesi ne ha visti e ne conosce tanti. Ha fondato in Italia Vailog, una impresa operante nel settore dell’immobiliare per la logistica, oggi parte di un fondo multinazionale di matrice britannica. In dieci anni Vailog ha investito oltre un miliardo di euro di fondi stranieri, ha costruito capannoni che oggi impiegano oltre 10.000 lavoratori solo in Italia, tra Roma, Milano, Bologna, Torino, Padova e Piacenza. A quel miliardo di investimenti si aggiungono altri 728 milioni di euro per realizzare venti nuovi poli logistici in Cina.

Di recente è uscita la seconda edizione di un libro di Eric Veron, “Ho scelto l’Italia. Contro-appunti di un imprenditore europeo”, Reality Book. È un libro che va letto, perché sfida tutta una serie di luoghi comuni sul nostro Paese e perché spiega bene le ragioni per le quali Veron ha scelto di essere cittadino italiano, candidandosi alle elezioni comunali di Milano in una delle liste che sostengono il Sindaco uscente, Beppe Sala.

Ho conosciuto Eric Veron, quando ero Direttore Generale dell’Interporto di Bologna, di cui poi sono stato Presidente. Ne ho sempre apprezzato le doti di professionalità, serietà, competenza, rigore. Assieme abbiamo seguito alcuni dei progetti di sviluppo della infrastruttura bolognese. A queste indubbie qualità si aggiunge anche un amore vero per il nostro Paese: un sentimento ragionato, non aprioristico, che traspare tutto in un libro che dovremmo proprio leggere, per meditare sulle caratteristiche italiane e sulle tante qualità che spesso non mettiamo in atto per renderci ancora più solidi e competitivi.

Intanto, non facciamo leva sulle nostre indubbie competenze: grande capacità di generare talenti, creatività, senso della bellezza, cultura ed estetica. Spesso le consideriamo doti scontate, ma sono fattori ancora più cruciali nella società contemporanea. Spesso indulgiamo invece in un pessimismo cosmico sulle nostre debolezze e sulla nostra burocrazia, operando verso gli interlocutori stranieri un’attività persistente di anti-marketing che ci vede essere protagonisti di una vera e propria campagna denigratoria nei confronti dell’Italia. Mentre negli altri Paesi i panni sporchi si lavano in famiglia, noi tendiamo invece a stenderli ai balconi ed a metterli in evidenza proprio al cospetto del mondo.

Poi ci accorgiamo, se andiamo a guardare ai numeri, che sono tante le aziende internazionali che credono nell’Italia. Nel nostro Paese operano 557 aziende estere medio-grandi, che realizzano un fatturato di 221 miliardi di euro, un terzo del totale del fatturato industriale nazionale. Le imprese estere nel 2017 hanno investito in Italia 10,9 miliardi di euro, rispetto ai 18 delle aziende italiane. Abbiamo affrontato negli anni recenti un mare in tempesta e siamo riusciti a dimostrare di essere resilienti molto più di tanti altri. Tutta Europa ha conosciuto un periodo difficile tra il 2008 ed il 2014, ma l’Italia è arrivata sull’orlo del baratro: siamo riusciti a reagire, con grandi sacrifici, e ne siamo usciti, con sacrifici che altrove non sarebbero stati nemmeno proponibili.

Continuiamo ad essere la seconda manifattura d’Europa, con un modello di aziende diffuso e solido. Eric Veron ne cita una: il calzaturificio Roveda, che produce le scarpe per Chanel. “Noi non ci siamo spostati neanche dall’altra parte di Milano, non sappiamo se ritroveremo la stessa manodopera”. Altro che delocalizzazione. Siamo peraltro il terzo esportatore mondiale di robot, dopo il Giappone e la Germania. Produciamo prodotti eccellenti ed unici. Pensiamo ai pianoforti e ci vengono in mente i nomi di Steinway o Yamaha. Eppure il migliore pianoforte al mondo si produce in Italia: si chiama Fazioli. Si tratta di pianoforti a coda particolarmente grandi, realizzati con l’abete rosso della Val di Fiemme, lo stesso dei violini di Stradivari. Fazioli produce 170 pianoforti all’anno, contro i 2.000 di Steinway. Mentre questi ultimi costano però molto meno, un Fazioli vale da 63.000 euro in su ed impiega otto mesi di manodopera per essere costruito.

Insomma, noi non siamo competitivi nella produzione di massa, quella si fa nell’Est europeo o in Asia. L’Italia produce il lusso, il sogno, lo stile. Perdiamo un gran tempo ad inseguire disegni inutili. L’ambizione che Genova debba diventare una Rotterdam riesce solo a far coltivare illusioni ed a far spendere enormi risorse pubbliche, risorse a vuoto. Anche perché, se volgiamo lo sguardo al domani, non è strategico puntare sulle merci che vengono dall’Estremo Oriente attraverso il Canale di Suez, ma riuscire a sviluppare il nostro ruolo nel Mediterraneo, che promette grandi potenzialità di sviluppo. Nelle infrastrutture abbiamo realizzato con grande successo l’alta velocità ferroviaria, ma è vero che dobbiamo fare ancora molto. Restiamo un popolo di gran lavoratori. Lo dice il rapporto OCSE che colloca l’Italia al secondo posto, dietro solo agli Stati Uniti, per numero di ore lavorate all’anno. Non è un caso che l’espressione che abitualmente usiamo per salutare, come “buon lavoro”, esista solo in italiano e non nelle altre lingue.

Ce lo dice uno che se ne intende, Eric Veron. Se non vogliamo credere in noi stessi, crediamo almeno in chi ce lo racconta.