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Coronavirus. Come funziona il Decreto dell’8 marzo

by Luca Rampazzo
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Forse sarà capitato anche a voi di sentire parlare di un atto firmato stanotte e pubblicato a mezzogiorno sulla Gazzetta Ufficiale. È il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), che norma i comportamenti delle persone durante l’epidemia, nel periodo compreso tra oggi ed il 3 Aprile. Si divide in tre parti, principalmente. Le norme per la nuova zona (che chiameremo arancione), le norme per l’intero territorio nazionale e le norme universalmente valide. Alcune sono particolarmente complesse, quindi le analizzeremo assieme.

Articolo 1. Evitare ogni spostamento in entrata, in uscita e all’interno dei territori di Lombardia e delle altre 14 province (Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Vercelli, Novara, Verbano Cusio Ossola e Alessandria) salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di emergenza o inerenti la salute delle persone.

Vengono meno le “zone rosse” che erano state stabilite all’inizio dell’epidemia e vengono sostituite da una gigantesca zona arancione, che va da Vercelli a Venezia (esclusa Verona) e da Como a Pesaro e Urbino. Le due principali novità sono il divieto di movimento dentro e fuori la zona e nel suo interno e la chiusura obbligatoria (dopo le 18) dei locali di ristorazione.

Analizziamo per prime le restrizioni alla possibilità di muoversi. Evitare significa che vige il divieto. Questo divieto non è assoluto, ma ammette tre eccezioni: a) lavoro b) necessità c) esigenze inerenti la salute. Ve ne è una quarta, minore ma neanche troppo: si può sempre tornare a casa (o nel proprio domicilio. O residenza). Questo significa che le merci continueranno a poter circolare, si potrà fare la spesa, ma lo shopping, salvo motivi impellenti, sarà vietato. Si potrà andare al bar prima di salire in ufficio e di nuovo andarci a pranzo. La cena e l’aperitivo, però, sono esclusi. Nei bar solo servizio al tavolo. Si potrà uscire in caso di necessità e per ragioni di salute (andare a prendere le medicine).

Ex art. 650 codice penale, chi contravverrà sarà passibile di una denuncia, con una pena che ricomprende una sanzione economica di 206 euro e la detenzione fino a tre mesi. Il Prefetto controllerà l’applicazione delle misure avvalendosi di polizia ed esercito. Saranno loro a valutare, caso per caso, se il cittadino ha motivo di stare per strada o no. Strumenti reali, quindi, non solo virtuali, per far rispettare queste norme.

Articolo 2. Per tutto il resto del Paese si alza il livello di guardia. Chiusi pub e discoteche. Le scuole restano chiuse fino al 15 marzo. Tutte le gare sportive saranno a porte chiuse. A proposito, per quanto il Decreto non lo preveda, non è da escludersi che FIGC e Lega A si accordino per sospendere il campionato per un paio di settimane. Restano sospese le gite di istruzione. Chiudono i teatri e sono vietate le manifestazioni culturali. Chiudono anche i musei. È sospeso il diritto del lavoratore ad opporsi al telelavoro. Si invitano i datori di lavoro a far usufruire di permessi e ferie il personale. I luoghi di culto devono consentire la distanza di un metro tra i fedeli e mettere in atto tutte le misure necessarie a contrastare la diffusione della malattia. In sunto: l’intera nazione è una grande zona gialla. Lo scopo è evitare che la situazione Lombarda si trasferisca altrove. Ci sono poi limitazioni per i parenti di pazienti in Pronto Soccorso e nelle RSA. A tutela della salute pubblica, privata e dell’integrità delle strutture.

Articolo 3. Segue un elenco di buone pratiche da adottare. Chi chiamare, entro quando farlo, l’isolamento volontario. Ma anche regole per le pubbliche amministrazioni, le aziende di trasporto, gli operatori sanitari e via dicendo.

Per riassumere: la situazione è grave, ma per ora l’Italia non chiude per Coronavirus. Diamo tutti una mano seguendo (e facendo seguire) queste misure. Anche se non ci piacciono.