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Una Corte per l’Europa, una Corte per noi

by Guido Raimondi
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Non tutti sanno che il progetto europeo nacque da un’idea di Winston Churchill, che nel settembre 1946 in un discorso tenuto a Zurigo lanciò la proposta, che allora non era nulla più di uno slogan, degli “Stati Uniti d’Europa”. L’idea prese concretezza nel corso di quell’evento straordinario che fu il Congresso dell’Aja del 1948, nel quale i maggiori movimenti europeisti del tempo, convinti della necessità della ricostruzione unitaria del continente europeo sulle rovine della seconda guerra mondiale, ebbero la possibilità di confrontarsi con i dirigenti politici delle potenze europee.

Diverse idee nacquero da quella fucina di entusiasmo e di pensiero. Tra queste, quella dell’integrazione economica del continente, che ha dato vita a quella che oggi conosciamo come Unione Europea, e quella di una “Corte suprema” che, sulla base di una “Carta dei diritti” adottata a livello europeo, controllasse il rispetto dei diritti fondamentali.

Circa un anno dopo il Congresso dell’Aja, il Consiglio d’Europa nasceva a Londra nel maggio del 1949. Nell’ambito di questa organizzazione veniva negoziata e adottata in tempi record la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che veniva firmata a Roma il 4 novembre 1950. La Convenzione istituiva tra l’altro il ricorso individuale e una Corte europea dei diritti dell’uomo, dotata del potere di emettere sentenze vincolanti per gli Stati.

Si trattò di un evento rivoluzionario. Ormai chiunque ritenesse i propri diritti violati poteva ricorrere ad una istanza internazionale indipendente e ottenere una sentenza che lo Stato responsabile della violazione era tenuto a rispettare.

La Corte cominciò a funzionare nel 1959, e da allora ha prodotto una massa imponente di giurisprudenza, che si occupa praticamente di tutti gli aspetti della vita civile. Molte di queste sentenze hanno dato luogo ad importanti riforme legislative in diversi Paesi europei. Un esempio che riguarda il nostro Paese: in seguito alla sentenza Oliari c. Italia del 2015, che ha censurato la mancanza di un quadro giuridico certo in materia di unioni omosessuali, è stata approvata in Italia la legge Cirinnà sulle unioni civili.

Questa giurisprudenza comprende, e questo è abbastanza ovvio, la protezione delle persone da quelle che sono le violazioni più evidenti dei diritti umani, come gli attentati alla vita, le esecuzioni extragiudiziarie, la tortura o altri trattamenti o pene disumani o degradanti. Ma essa si occupa di tante altre cose, come la vita familiare, la libertà di stampa, la libertà di associazione, la libertà di religione e anche la protezione dell’ambiente.

A proposito di protezione dell’ambiente la Corte ha adottato nel 2012 una sentenza che riguarda la crisi dei rifiuti nel nostro territorio, Di Sarno c. Italia. Un gruppo di cittadini residenti a Somma Vesuviana aveva lamentato l’inerzia delle autorità nella gestione dei rifiuti, e la Corte ha constatato una violazione della vita privata dei ricorrenti per non avere lo Stato italiano, ovviamente nelle sue diverse articolazioni a livello nazionale e locale, assolto ai suoi obblighi positivi in materia.

Molti casi importanti hanno interessato il nostro Paese, stabilendo principi importanti.

Per esempio, oltre al caso Oliari, la sentenza Hirsi-Jamaa, del 2012, che ha sancito l’incompatibilità con la Convenzione della politica dei respingimenti in mare allora perseguita dall’Italia in materia di immigrazione clandestina, o ancora la sentenza Cestaro, del 2015, che purtroppo riflette una brutta pagina della storia del nostro Paese, quella delle brutalità poliziesche perpetrate durante il G8 di Genova del 2001. Molti ricorderanno poi la sentenza Lautsi, del 2011, con la quale la Corte ha sancito la compatibilità con la Convenzione della esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane.

L’approccio della Corte tiene conto della grande diversità dei Paesi che hanno accettato il sistema della Convenzione. Si tratta attualmente di 47 Paesi, che comprendono la Turchia, la Georgia, l’Armenia e l’Azerbaijan, quindi di realtà molto lontane da quelle del ristretto nucleo di Paesi dell’Europa occidentale in seno a quali l’idea è stata originariamente sviluppata.

La giurisprudenza della Corte si sforza di rispettare la soluzione data ad un certo problema dalle autorità nazionali, in funzione delle specificità economiche, sociali e culturali del Paese interessato. Alle autorità nazionali viene dunque normalmente riconosciuto un più o meno ampio margine di apprezzamento, nell’ambito della natura sussidiaria del sistema. La sussidiarietà esprime l’idea che i primi responsabili della buona applicazione della Convenzione sono le autorità nazionali, in primo luogo, per ovvie ragioni, quelle legislative e quelle giurisdizionali.

Resta affidato alla Corte un controllo europeo. La Corte deve vegliare a che lo standard minimo di protezione dei diritti fondamentali – uno standard che deve valere per tutti i 47 Paesi che partecipano al sistema – venga in ogni caso salvaguardato.

A ben vedere, questo standard minimo è ciò che ci contraddistingue come europei. E’ un baluardo contro ogni attentato alla democrazia e ogni abuso diretto a conculcare i diritti. Si tratta, direi, della nostra identità, che dunque esiste, pur nella grande diversità dei Paesi del nostro continente.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, frutto delle menti visionarie di una generazione che aveva subito la tragedia della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, è, credo, un patrimonio prezioso che ci è stato legato. Nostro dovere è trasmetterlo alle generazioni che verranno.

 

Guido Raimondi – Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo