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COVID-19 e ciclo rifiuti. La relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta

by Lucia Severino
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“Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti”. E’ questo il titolo della relazione approvata all’unanimità lo scorso 8 luglio (e pubblicata ad agosto) dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.

Il primo dato che emerge è quello del “problematico coordinamento tra Stato e Regioni”, con la conseguente “emanazione di ordinanze da parte di autorità a vario titolo competenti in materia sanitaria”. Non vi è stato, infatti, alcun “esplicito coordinamento normativo (di livello primario) rispetto alle norme”. Da gennaio a tutto maggio sono stati emanati circa duecento provvedimenti, adottati: dal Governo, dal Dipartimento della protezione civile, da commissari straordinari. Ai quali vanno aggiunti quelli adottati sino ad oggi e quelli regionali.

A tale riguardo la Commissione osserva che “Il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto peraltro rendersi maggiormente attivo, superando lo strumento della circolare – unico atto adottato durante l’emergenza epidemiologica – e proponendo soluzioni normative volte a contenere una serie di singoli atti amministrativi e provvedimentali di carattere locale”.

Sulla base delle indicazioni ISS/ISPRA/SNPA, i rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni dei soggetti positivi in quarantena devono essere considerati indifferenziati e pertanto raccolti e conferiti insieme. Dovrebbero inoltre essere ritirati da un apposito “servizio dedicato” da parte di personale opportunamente addestrato. Gli stessi vanno avviati a incenerimento senza alcun trattamento preliminare. Nel caso non fosse possibile, devono essere conferiti agli impianti di trattamento meccanico biologico (TMB). Ma solo “se garantiscono l’igienizzazione del rifiuti nel corso del trattamento biologico (bioessiccazione o biostabilizzazione) e la protezione degli addetti dal rischio biologico” Se no: impianti di sterilizzazione o direttamente in discarica, senza alcun trattamento preliminare. Il che suona un po’ come dire: fate quello che potete.

Da notare che non vi è alcuna certezza scientifica sul tempo di sopravvivenza in un rifiuto del virus SARS-CoV-2.

Nel corso di specifica audizione (7 maggio), ISPRA ha chiarito che “la differenziazione relativa a rifiuti prodotti da positivi in quarantena è risultata non praticabile per la difficoltà delle aziende di organizzare una gestione separata”.

Peraltro, sembrerebbe che l’emergenza epidemiologica non possa provocare alterazioni significative nella produzione e gestione dei rifiuti “specifici”. Però avrebbe modificato il flusso di produzione di alcune tipologie, con conseguenze sulla loro gestione. Ci si riferisce ai prodotti destinati al contenimento del contagio, sostanzialmente mascherine e guanti. Il fabbisogno giornaliero di mascherine nella cosiddetta “Fase 2” si aggirerebbe intorno ai 35/40 milioni di pezzi. La relativa produzione di rifiuti giornaliera su scala nazionale risulterebbe pertanto compresa tra 250 e 720 tonnellate.

La carenza di impianti di trattamento, unitamente al registrato aumento dei quantitativi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, avrebbe determinato la necessità di ricorrere alla “saturazione a carico termico” degli impianti di incenerimento. Modalità che ha consentito di fronteggiare la situazione emergenziale. Ma una distinzione tra fase emergenziale e questioni strutturali è necessaria per evitare l’estensione di soluzioni tipicamente emergenziali a fasi di nuova normalità dopo l’emergenza.

Quanto alla gestione degli impianti di depurazione delle acque e dello smaltimento dei relativi fanghi e reflui, a detta dell’ISS il materiale genetico del virus nelle acque reflue non produce alcun rischio epidemiologico. E il Ministro della salute ha chiarito che non risultano evidenze scientifiche sul trasferimento del contagio attraverso le acque utilizzate in agricoltura per irrigazione o abbeveraggio.

Ovviamente, la Commissione sottolinea come la stessa comunità scientifica globale si sia trovata di fronte a una totale novità e che le conoscenze si vanno consolidando nel corso del tempo con una ricerca ancora in pieno corso.

In conclusione, in termini generali si rileva la scelta da parte del Governo di lasciare alle Regioni libertà di intervento. Il che ha generato una disciplina derogatoria non uniforme che suscita perplessità e incertezza. Gli effetti dell’emergenza sulla produzione dei rifiuti riguardano in primo luogo l’uso di materiali “indotti” dalla necessità di contenimento del contagio e suscettibili di produrre sia un aumento nella produzione di rifiuti, sia fenomeni di abbandono diffuso (mascherine facciali e guanti; materiali “usa e getta” nel commercio, nella ristorazione, nel confezionamento dei prodotti alimentari).

Quella che precede è un’esposizione più che sintetica della relazione (83 pagine) della Commissione e certamente ci saremo persi qualcosa. Ma comunque il quadro che ne emerge non è proprio rassicurante. Confusione normativa, competenze che si accavallano, poche certezze scientifiche e nessun vero coordinamento centrale. Dopo aver prodotto questa bella relazione, cosa intende fare il Parlamento a cui compete fare le leggi e controllare il Governo?