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Dialoghi intorno a Caravaggio

by Vito Nocera
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Foto by RaiNews

 

Scorrendo i quotidiani arretrati di qualche giorno mi sono balzate agli occhi due cose in sequenza. La foto della “Flagellazione” in tutta la sua spettacolare forza che, come altri dipinti di Caravaggio, sarà in mostra a Palazzo Reale di Napoli fino al 9 maggio. La foto, piuttosto patetica e arruffata, delle opposizioni riunite sul divano del congresso Cgil. Impossibile sfuggire al confronto impari e impietoso.

Vedo che c’è entusiasmo intorno alla nuova segretaria del PD, come pochi mesi fa per Conte, ancora un po’ prima per i 5s e Renzi o non so chi. Va bene tutto ma non mi farei troppe illusioni. Fluttuazioni di opinione, prive di forme politiche autentiche con un loro radicamento sociale e prive di cultura politica.

Del resto, quasi in contemporanea di quella specie di riedizione della funesta “foto di Vasto”, in provincia di Caserta lo stabilimento dell’acqua Lete faceva sapere che per quest’anno lì non si faranno ferie, che ci saranno straordinari tutto l’anno, che ci saranno flessibilità nel cambio turno e reperibilità costante. Insomma, ogni esigenza umana sacrificata alle esigenze del mercato e del profitto.

Certo, Landini – in relazione al fisco e ad altri temi – ha parlato di sciopero generale, e anche questo è bene. Forse però dovrebbe anche farsi qualche domanda sul fatto che lo sciopero generale dell’anno scorso abbia sedimentato quasi niente.

Ma la riflessione da fare riguarda tutti. Anche i tanti che giustamente inneggiano alle mobilitazioni sulle pensioni in Francia. Anche lì in fondo la piazza continua (meglio di niente ovviamente) è il segno della difficoltà a far vivere, nella ordinarietà della vita e degli indirizzi del Paese, il peso e la forza negoziale di un mondo del lavoro organizzato. Intanto qualcuno ha pensato di chiedere al mondo l’arresto del capo della Russia (mi sembra una cosa pericolosa e sbagliata che radicalizza i rischi del quadro geopolitico globale) e proprio mentre a Mosca arriva Xi Jinping con la sua dottrina tesa a un altro e diverso ordine mondiale. Il trumpismo in Usa non è ancora domo e chiama alla rivolta per difendere il leader da conseguenze penali per cose personali. E intanto si diffonde l’allarme per il rischio di una nuova ondata di crisi finanziaria come conseguenza dei crolli bancari in Svizzera e nella Silicon Valley.

Eppure, non solamente Salvini e Meloni si distraggono col Karaoke ma anche Schlein e compagnia cantante espongono sorrisi a 32 denti e abbracci per qualche piazza che evapora già dal giorno dopo. E’ come se questi ultimi proprio non avessero coscienza della sconfitta, non tanto elettorale ma storica e profonda. E che la trasformazione non è riducibile all’attivismo e all’impegno, né alla sola determinazione del fine (quando c’è).

Come se non avvertissero che la trasformazione presuppone un soggetto che trasformi. Chi è oggi questo soggetto? Un tempo fu la classe operaia industriale. Non per un fatto di cuore o perché più debole e sfruttata. Ma perché’, dato che chi interpreta e trasforma deve sapere le cose, chi più di quella classe operaia era intrinseca al capitale per poterlo trasformare?

Ovvio, oggi lavoro e capitale sono profondamente cambiati. Ma il tema di metodo resta. Chi se non coloro i quali queste trasformazioni le incarnano e le producono – cioè i soggetti del lavoro contemporaneo – può essere il nuovo soggetto antagonista? La classe operaia industriale fu il cervello sociale alienato e appropriato dal capitalismo, eppure per tutta una fase sembrò poter mettere in questione quei rapporti di produzione e quella appropriazione. Non può voler dire che – almeno potenzialmente – il nuovo lavoro contemporaneo globale, questa intelligenza sociale odierna – se matura coscienza può contendere il terreno costringendo al negoziato l’avversario?

Ma allora è qui, in questo delicato crocevia, che ogni sforzo va impiegato. Compito difficilissimo convengo. Nessun ottimismo è giustificato. Se non è riuscita nell’impresa la classe operaia concentrata nella grande industria è ancora più complicato per un lavoro vivo, oggi disperso e frammentato.

Per questo occorre un impegno molto serio, inchiesta, ricerca, unificazione sociale, conflitti. Costruzione di cultura politica. Non basta agitare lo sfruttato o proporre delle leggi al di fuori dei rapporti di forza reali. Serve costruire una vera intelligenza sociale collettiva.

Spezzare il nesso tra la produzione di questo nuovo cervello sociale collettivo e il sistema capitalistico sembra impresa impossibile. Ma è questo che giustifica la ricerca di un pensiero critico e delle sue forme organizzative. In fondo cos’altro è il momento rivoluzionario se non rompere – forzare – questo nesso, liberare il cervello sociale, ciò che esso produce, dal suo essere proprietà. La sua liberazione.

Ciò che impropriamente chiamiamo crisi della sinistra non è altro che questa crisi del fondamento rappresentato dal soggetto. E non ci sarà scorciatoia, anche con generose militanze, associazioni, alleanze, che potrà consentire di ritrovare una strada. Sforzi politici, e ora anche questa ingenua “gioiosa macchina da guerra” dei diritti civili, nulla potranno nella messa in questione degli odierni rapporti di dominio e di comando.

Il lavoro vivo – è vero – al momento non sprigiona ancora coscienza e neanche trascina tutte le altre contraddizioni ed esperienze preziose. Ma se questa intelligenza sociale odierna non si è maturata e organizzata in soggetto non è detto che non possa farlo.

Come con intelligenza dice Cacciari, è un dio in esilio ma che nessuno ha ammazzato. Al rientro in patria di questo dio dovremo impiegare per intero tutte le nostre energie.