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Due osservazioni sulla rigenerazione urbana in Campania

by Alessandro Bianchi
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Dall’intervista rilasciata dall’Assessore Discepolo al Direttore Cioffi emergono alcune indicazioni interessanti circa gli obiettivi che la Regione Campania sta perseguendo in materia di urbanistica e governo del territorio, da cui prendo spunto per due osservazioni di merito.

 

 

*La prima riguarda l’intento di voltare pagina in direzione del “consumo di suolo zero e recupero del patrimonio esistente, in moltissimi casi sottoutilizzato, dismesso, in obsolescenza, in eccesso”.

Si tratta del cuore stesso della pratica che va sotto il nome di rigenerazione urbana, di cui oggi parlano tutti – politici, amministratori, studiosi, tecnici – decantandone le magnifiche sorti e progressive, il che è un fatto positivo perché è evidente che è l’unica strada percorribile per invertire la perniciosa tradizione dell’urbanistica espansiva, in auge nel nostro Paese da oltre cinquanta anni a questa parte.

D’altronde questo modo nuovo di intendere l’urbanistica e il governo del territorio è ormai sancito da molte leggi regionali – quindi ben venga anche quella della Campania – e persino nel disegno di legge “Misure per la rigenerazione urbana”, già approvato in Senato anche se ora sconterà l’interruzione della legislatura.

L’osservazione relativa a questo punto è che in questa grande enfasi di condivisione e nel profluvio di leggi e provvedimenti in materia, continua a permanere un difetto grave che impedisce alla rigenerazione urbana di dispiegare tutto il suo potenziale. Mi riferisco al fatto che non è stato ancora compreso il significato proprio della rigenerazione, che continua ad essere associata e confusa con altre pratiche da tempo presenti nella normativa e nella prassi urbanistica, come riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, recupero ed altre ancora.

Ora è piuttosto evidente che non vi sarebbe stato alcun motivo di introdurre un termine nuovo se questo avesse dovuto indicare una pratica uguale ad altre già esistenti e, dunque, questa diversità va riconosciuta e sancita.

Detto in termini semplici: quando parliamo di ri-qualificazione intendiamo dire che stiamo intervenendo su un oggetto urbano che si è de-qualificato per restituirgli la sua qualità, così come quando parliamo di ri-strutturazione intendiamo ripristinare una oggetto urbano che si è de-strutturato, e la stessa cosa vale per le altre tipologie di pratica similari.

Ebbene questo percorso di ritorno ad una condizione che si è persa non vale nel caso della rigenerazione perché questa fa riferimento ad un oggetto urbano che ha perso il suo genere, vale a dire i suoi caratteri distintivi e peculiari e, per i più svariati motivi, non lo si vuole ripristinare.

L’esempio più evidente è quello di un complesso industriale che ha cessato la propria produzione (perché non c’è più domanda di quel prodotto, perché gli impianti sono obsoleti, perché in altri luoghi si produce a costi inferiori e via dicendo) e non vi è alcun interesse a ricostituire la condizione precedente.

E’ da qui che bisogna partire per interpretare correttamente la rigenerazione urbana, la cui finalità è quella di intervenire su un oggetto urbano dismesso per conferirgli un genere diverso da quello precedente. Se un fabbricato industriale diventa un centro polifunzionale, se un complesso di caserme diventa un quartiere modello, se una centrale elettrica diventa un museo, questa è rigenerazione, in quanto sono cambiati i caratteri distintivi e peculiari originari, è cambiato il genere.

Dunque il motivo per cui insisto a sottolineare la confusione che persiste nel parlare di rigenerazione urbana non è per una disquisizione lessicale, bensì perché vi è l’esigenza di definire compiutamente il campo di applicazione di quella pratica, di mettere a punto regole specifiche e di destinare risorse riservate.

Se si fa il contrario, come purtroppo avviene anche nell’ambito del PNRR, ossia si parla di rigenerazione urbana ma si intendono anche tutte le altre molteplici pratiche di cui si è detto, la rigenerazione urbana non potrà mai dispiegare il suo potenziale e diventare il propulsore di un nuovo modo di intendere la città e l’urbanistica mettendo in gioco l’enorme patrimonio dismesso esistente nel nostro Paese.

Purtroppo le fonti informative relative a questo prezioso patrimonio sono frammentarie e non sistematiche, per cui la sua entità è nota solo in parte e ancor meno lo sono le sue caratteristiche salienti: ubicazione, dimensioni, stato di conservazione, proprietà, valore commerciale e via dicendo. Tuttavia anche dal sommario quadro d’insieme che è possibile costruire emerge una realtà impressionante dal punto di vista quantitativo: parliamo di 9.000 Kmq di aree industriali (l’equivalente di una regione come la Basilicata); di 20.000 complessi religiosi; di 1.500 edifici e siti militari; di 25.000 impianti sportivi; di 1.700 stazioni ferroviarie; di 3.000 miniere; di 16.000 cave.

In conclusione deve essere chiaro che l’avvio di un’efficace ed efficiente azione di rigenerazione urbana richiede tre condizioni ineludibili: l’esatta identificazione del significato del termine; la delimitazione del suo campo di applicazione rispetto alla pratiche contermini; la conoscenza delle caratteristiche quali-quantitative del patrimonio dismesso.

 

 

* La seconda osservazione riguarda il più eclatante caso di mancata rigenerazione urbana nel nostro Paese: l’area industriale di Bagnoli.

Dice l’Assessore Discepolo: “La prospettiva è certamente cambiata e va dato atto al Governo di aver preso atto del fallimento dell’idea del Commissario di emanazione governativa che avrebbe da solo risolto le contraddizioni di Bagnoli. Aver dato al Sindaco la possibilità di governare il processo di rigenerazione può rappresentare un nuovo inizio”.

E’ possibile che l’aver rimesso la questione nelle mani del Sindaco sia stata una scelta oculata, anche se non si può dimenticare che nella lunga e indecorosa vicenda di Bagnoli tra le maggiori responsabilità ci sono proprio quelle del Comune di Napoli, socio al 90% della “Bagnoli Futura-SpA” costituita nel 2002 e fallita nel 2014 con un crac stimato tra 150 e 200 milioni di euro senza cambiare di una virgola la condizione dell’area industriale.

Quello che è certo è che non vi sarà alcun nuovo inizio se non si avrà la piena consapevolezza del fatto che quella di Bagnoli non è una vicenda di dismissione di un complesso industriale come tante, ma una drammatica vicenda sociale legata alla perdita di migliaia di posti di lavoro e contrassegnata da dissennati scontri tra istituzioni, incompetenze, negligenze, speculazioni, malversazioni, lungaggini burocratiche e sperpero di denaro pubblico.

 

 

Un buon punto di partenza sarebbe quello di far studiare a tutti quelli che d’ora in poi dovranno occuparsi delle rigenerazione di Bagnoli le strategie, i programmi, le modalità attuative, i metodi, le tecniche, i tempi di realizzazione di alcune esperienze esemplari realizzate in Europa: nel distretto industriale della Ruhr, nei porti fluviali di Bilbao e Glasgow, nella Renault-Ile Seguin di Parigi, nei magazzini dello Speicherstadt ad Amburgo, nella fabbrica Pirelli-Bicocca a Milano, per citare alcune tra le migliori.

Poi sarà bene che il Comune, la Regione e lo Stato comincino a muoversi all’unisono; che si facciamo avanti degli imprenditori seri e non solo degli speculatori; che le associazioni professionali – in particolare degli urbanisti, degli architetti e degli ingegneri – facciano sentire la loro attiva presenza; che le università rendano disponibili i propri saperi; che i cittadini tutti siano capaci di far sentire la loro voce.

 

 

Se queste condizioni si realizzeranno allora potrà decollare la più grande operazione di rigenerazione urbana che oggi si possa fare in Italia. Se, viceversa, permarranno gli indecorosi comportamenti tenuti negli ultimi trenta anni, allora rimarrà una ferita aperta nel cuore della città di Napoli.

 

Foto, dall’alto:

  • 1 e 2 – Glasgow prima e dopo
  • 3 e 4 – Ruhr prima e dopo
  • 5 e 6 – Pirelli prima e dopo
  • 7 e 8 – Renault prima e dopo
  • 9 e 10 – Bilbao prima e dopo

 

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Mario Conti 19 Agosto 2022 - 12:22

Non conoscevo Alessandro Bianchi, finchè non ho letto – giorni fa – il bell’articolo sul progetto romano di rigenerazione urbana affidato a Boeri. Lucido, informato (sembra un’ovvietà ma di questi tempi non lo è), asciutto, chiaro. Così sono venuto a leggermi quest’altro pezzo, il cui oggetto pure mi sta a cuore (napoletano che vive a Roma); anche qui ritrovo intelligenza ed equilibrio, forma e contenuto. Grazie.

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