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Equa valutazione dei magistrati. Non basta il referendum

by Luigi Gravagnuolo
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Rispetto al quesito sulla separazione delle carriere, quello sulla cosiddetta equa valutazione dei magistrati è più contenuto, come potete vedere qui a fianco. Più contenuto, ma non più chiaro per il cittadino comune. Per facilitarne la comprensione riportiamo, oltre al testo del quesito, anche gli articoli e le parole di cui si chiede l’abrogazione.

 

 

IL CONTESTO

I magistrati, come tutti i dipendenti dello Stato, sono soggetti a valutazioni periodiche che ne determinano la progressione delle carriere. A valutarli è il Consiglio Superiore della Magistratura, che però non può conoscere nel dettaglio le attitudini, la preparazione ed i comportamenti reali di tutti i magistrati italiani. Si avvale perciò del lavoro ‘istruttorio’ svolto dai Consigli Direttivi della Corte di Cassazione e dai Consigli Giudiziari territoriali, entrambi normati con D.Lgs n. 25/2006 e composti da magistrati, la cosiddetta componente togata, e da laici. Un po’ a specchio rispetto alla composizione del CSM.

Per non complicare troppo l’esposizione qui faremo riferimento ai soli Consigli Giudiziari, ma mutatis mutandis quanto diremo vale anche per i Consigli Direttivi della corte di Cassazione.

Il D.Lgs 25/2006, prevede per i C.G. composizioni più o meno numerose a seconda della consistenza dei ranghi di ciascun distretto giudiziario.

Sempre ne fanno parte di diritto il Presidente della Corte di Appello, che funge da Presidente, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ed il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati avente sede nel capoluogo del distretto giudiziario.

Poi, nel caso ad esempio di un distretto con meno di 350 magistrati, il Consiglio Giudiziario è composto, oltre che dai membri di diritto, da dieci altri membri effettivi, di cui cinque magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto, quattro componenti non togati – un professore universitario in materie giuridiche, un avvocato con almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione, due nominati dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto – nonché un rappresentante eletto nel proprio ambito dai giudici di pace del distretto.

Oggetto delle valutazioni dei C.G. sono le competenze e la professionalità dei magistrati, eventuali situazioni di incompatibilità degli stessi, la redazione di pareri utili per concorrere a funzioni direttive e le autorizzazioni a svolgere incarichi extra giudiziari.

Orbene, contrariamente a quanto accade nel C.S.M., in cui la componente laica ha attribuzioni paritarie rispetto a quella togata, nei C.G. possono votare solo i componenti togati. In pratica i magistrati possono essere valutati solo da loro colleghi.

È evidente che c’è il rischio – per molti la certezza – che pesino tra i valutatori ed i valutati i rapporti personali più o meno amicali, la compartecipazione agli stessi uffici giudiziari, in breve che incidano logiche corporative. Ciò in contrasto con gli orientamenti docimologici contemporanei, che ritengono co-essenziale nelle procedure valutative il rilevamento della valutazione data agli erogatori dei servizi dai loro destinatari.

Il D.Lgs 25/2006, come abbiamo visto, prevederebbe la presenza nei C.G. della componente laica, cioè dei rappresentanti dei destinatari dei servizi giudiziari, quindi una qualche possibilità dei fruitori di produrre le proprie valutazioni sugli erogatori ci sarebbe. In realtà la possibilità per la componente laica di concorrere alle valutazioni è del tutto effimera. Essa infatti ha diritto solo ad accedere agli atti, a produrre eventualmente delle relazioni e ad assistere alle discussioni. Non può però parteciparvi attivamente e non ha potere di voto.

Di più, i suoi membri non sono retribuiti, se non con un modesto gettone di presenza: <<Art. 14 – (Compensi) – 1. Ai componenti non togati dei consigli giudiziari è corrisposto un gettone di presenza per ciascuna seduta…>>.

Un gettone di presenza, punto. Basta mettersi un attimo nei panni di un membro laico di un Consiglio Giudiziario: dovrà leggere faldoni di atti e redigere relazioni ben documentate, quindi toglierà inevitabilmente non poco tempo alle proprie attività professionali, ci rimetterà soldi ed infine si esporrà al rischio di farsi dei nemici nella magistratura del proprio foro. Tutto ciò per pochi spiccioli!

Comprensibile che, nei fatti, finora i membri laici dei C.G. di tutta Italia, salvo casi molto rari, non abbiano neanche ritirato gli atti e non abbiano prodotto relazioni di sorta.

IL QUESITO

La domanda referendaria in estrema sintesi è riassumibile così: <<Vuoi tu che i membri laici dei Consigli Giudiziari abbiano la possibilità di concorrere alla valutazione dei magistrati con diritto di voto?>>.

PRO E CONTRO

I sostenitori del Sì sostengono che la concessione del diritto di voto ai membri laici dei C.G. sia in linea con gli orientamenti docimologici attuali e sia coerente con le prerogative già previste per la componente laica del C.S.M., la quale ha attribuzioni parificate a quelli della componente togata. Se i laici possono votare nel C.S.M. perché non possono farlo nei C.G.?

I sostenitori del No viceversa ritengono che la funzione giudiziaria sia così delicata che è molto rischioso far condizionare la carriera di un magistrato da un avvocato o da un docente universitario, che un domani potrebbe trovarsi ad essere controparte dello stesso magistrato in un processo. Non solo, aggiungono i sostenitori del No che non basta estendere ai laici il diritto di voto, se non si riconosce ad essi anche adeguata retribuzione.

Insomma, anche per questo, come in genere per tutti i referendum, l’eventuale vittoria del Sì non risolverebbe le problematiche. Piuttosto indirizzerebbe l’ineludibile successiva attività del legislatore.