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I nuovi approdi e le nuove sfide di Franco Gabrielli

by Stefano Sorvino
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Il prefetto Franco Gabrielli è una figura di primo piano dell’amministrazione italiana, dalla forte personalità e con curriculum brillantissimo, da ultimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica nel governo Draghi.

Funzionario di Polizia, già dirigente della Digos e poi giovane Direttore del Sisde, Gabrielli, sobrio ma di spessore professionale, veniva nominato sul campo Prefetto dell’Aquila nel giorno del terremoto del 6 aprile 2009, assumendo nella qualità anche l’incarico di vicecommissario vicario per l’emergenza Abruzzo (al fianco di Guido Bertolaso). Quell’esperienza, in cui assumeva la titolarità di una Prefettura il cui palazzo crollato era divenuto simbolo del rovinoso sisma (con sede vacante per il pensionamento del predecessore), ricorda per qualche verso il lontano precedente di Carmelo Caruso, nominato prefetto di Avellino subito dopo il tragico terremoto del 23 novembre 1980, a seguito della clamorosa esternazione del Presidente Pertini e la (frettolosa) rimozione del suo predecessore.

Proprio per l’esperienza acquisita sul campo Gabrielli, dotato di carismatica autorevolezza e rapida capacità decisionale, veniva nominato prima Vicecapo in affiancamento (maggio 2010) e poi, qualche mese dopo, Capo (novembre 2010) del Dipartimento della protezione civile, avvicendando Bertolaso nel ruolo che avrebbe retto fino alla nomina a prefetto di Roma (2015), per poi divenire capo della Polizia ed assumere successivamente il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza.

Il quinquennio di Gabrielli è stato particolarmente duro ed impegnativo in una difficile fase di transizione segnata dalla dirompente crisi della finanza pubblica e, nello specifico della protezione civile nazionale, dalla reazione agli “eccessi” ed alle ridondanze, vere o presunte, del precedente decennio, con una sorta di “controriforma” introdotta per spezzoni normativi. Da un lato, dopo le vicende giudiziarie degli appalti per i “grandi eventi” e, soprattutto per effetto della spending review, la Protezione Civile – marcata in modo stretto dal Ministero dell’economia e finanze – ha subito in quegli anni un forte processo di ridimensionamento normativo e dimagrimento finanziario, quasi come contrappasso rispetto alle superfetazioni del periodo 2001-2010.

Tuttavia, nello stesso quinquennio, la depotenziata protezione civile di Gabrielli ha dovuto fronteggiare – con strumenti gestionali limitati – alcune gravi emergenze, tra cui la grande ondata migratoria proveniente dal Nord Africa (2011-12), il terremoto dell’Emilia del maggio 2012 e, soprattutto, l’emergenza conseguente al naufragio della nave da crociera Costa Concordia, avvenuto in Toscana nei pressi dell’isola del Giglio la notte del 13 gennaio 2012. Alle ore 21.45 di quel venerdì la motonave Concordia della società armatrice Costa Crociere urtava il più piccolo degli scogli delle Scole, situato a circa 500 metri dal porto dell’isola del Giglio, incagliandosi ed inclinandosi paurosamente. Il grave incidente provocava uno squarcio di circa 700 metri nello scafo, causando la morte di 32 persone e 193 feriti ed il parziale affondamento della nave, aprendo la delicatissima problematica della sua rimozione e delle possibili conseguenze ambientali in un’area ad altissima sensibilità (Parco dell’Arcipelago Toscano).

In quella drammatica circostanza, una settimana dopo la verificazione dell’evento, il Capo Dipartimento della protezione civile Gabrielli veniva nominato Commissario delegato per la gestione dell’emergenza dichiarata dal Governo, consistente soprattutto nel laborioso e delicato coordinamento delle attività pubbliche volte alla rimozione della motonave affidata alla società armatrice. La complicata e rischiosa operazione di recupero, senza precedenti specifici, si concludeva con successo con il traino della nave nel porto di Genova nel luglio 2014, dopo alcuni giorni di navigazione.

A questa esperienza, straordinaria ed originale nel pur variegato catalogo degli eventi di protezione civile, è essenzialmente dedicato il libro “Naufragi e nuovi approdi” di Franco Gabrielli, edito da qualche mese (per i tipi della Baldini-Castoldi), significativamente sottotitolato “Dal disastro della nave Concordia al futuro della protezione civile”.

La parte centrale del volume, articolata in cinque atti, ricostruisce in modo analitico e dettagliato la drammatica vicenda nei suoi vari aspetti, dalla prima fase del naufragio e dei soccorsi al rischio sventato di disastro ambientale, il “parbuckling” (cioè la rotazione della nave), l’ultimo viaggio verso il porto di Prà e l’illustrazione delle “carte vincenti” giocate da Gabrielli nella difficile partita.

La narrazione risulta puntuale ed incisiva nei suoi diversi momenti, dall’arrivo della protezione civile al Giglio – in attesa della ritardata dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo Monti – alla rischiosa ricerca dei dispersi, dalla valutazione dei possibili scenari all’operazione di “debunkering” (svuotamento del carburante dai serbatoi), dalle difficoltà della struttura commissariale nei rapporti con il Ministero dell’Ambiente nella tormentata procedura al progetto di rimozione dello scafo sino alle operazioni di rotazione della nave semiaffondata. La complessa vicenda, con significativi risvolti ambientali, viene finalmente avviata a conclusione dal Commissario con l’individuazione dell’approdo a Genova per la nave recuperata e rimorchiata, e si narrano ulteriori aspetti significativi tra cui il rapporto con gli isolani gigliesi, la necessaria cooperazione pubblico-privato, i supporti e le collaborazioni ricevute nel corso dell’impresa.

Oltre al nucleo centrale del volume, risultano altresì molto interessanti il capitolo introduttivo e quello conclusivo, dedicati rispettivamente all’analisi preliminare della dura fase di depotenziamento della protezione civile del dopo-2010 ed alle prospettive dello stesso sistema nel prossimo futuro dopo la prolungata e drammatica emergenza sanitaria del COVID.

In particolare, tra fine 2010 e inizio 2011 (con il decreto legge “Milleproroghe” n. 225/10 e la successiva conversione con legge 10/11), da un lato si introduceva la discutibilissima “tassa sulle disgrazie” in capo al potere impositivo delle Regioni – abrogata l’anno dopo per illegittimità costituzionale con sentenza della Consulta – e, dall’altro, si restringevano drasticamente i poteri di azione della protezione civile sottoponendosi l’emanazione delle ordinanze di emergenza al preventivo concerto del MEF, con il conseguente “commissariamento” di fatto della Presidenza del Consiglio. In altri termini la protezione civile nazionale, fortemente rafforzata nel decennio precedente ma anche oltre modo dilatata per la gestione (giuridicamente impropria) dei c.d. “grandi eventi”, – oltre ad essere investita da una campagna mediatico-giudiziaria – veniva di fatto messa “sotto tutela” dal Ministero dell’Economia di Giulio Tremonti, additata come fonte di spesa incontrollata e di insostenibile sforamento dei conti pubblici.

Successivamente l’assetto normativo della protezione civile ha conosciuto un’ulteriore evoluzione – con il decreto-legge n. 59/2012 e la legge di conversione n. 100/2012 – attraverso soluzioni compromissorie e in qualche modo migliorative rispetto a varie incongruenze della normativa precedente, pur parzialmente perduranti. Tra esse l’estremo restringimento della durata dell’emergenza, l’obbligo di preventiva quantificazione ed autorizzazione della spesa occorrente (rispetto a gestioni per loro natura imprevedibili), di previsione dell’amministrazione subentrante in ordinario alla cessazione dell’“extra ordinem”, l’attribuzione della firma delle ordinanze al Capo Dipartimento della protezione civile (e non più al Presidente del Consiglio) con il paradossale passaggio ad un funzionario di una responsabilità tipica del massimo livello apicale.

L’assetto organizzativo e normativo del servizio di protezione civile si è poi ulteriormente integrato e consolidato nell’attuale codice, approvato con D.Lgs. n. 1/2018, ancora in parte privo dei previsti provvedimenti attuativi e già messo alla prova dalla dura esperienza della pandemia, che ha evidenziato deficit di coordinamento e direzione unitaria tra le varie componenti.

Il libro brilla per la capacità di analisi critica dell’autore, la lucidità della sua visione di sistema, l’acume valutativo, la asciutta e cruda puntualità dei riferimenti e, soprattutto, il linguaggio diretto e sincero – senza ipocrisie, perifrasi e sforzi diplomatici – di un personaggio di valore noto per il suo piglio caratteriale, non privo di riferimenti caustici a fatti, situazioni e personaggi del panorama politico e di governo.

Un lavoro che suscita vivo interesse e stimola opportune riflessioni, secondo lo stesso obiettivo dell’autore, offrendo attraverso le esperienze vissute una lettura critica e ricostruttiva dell’ultimo decennio di protezione civile italiana – nella sofferta evoluzione del suo assetto istituzionale, normativo ed organizzativo – fino alle impegnative considerazioni sulla recentissima emergenza sanitaria e sulle problematiche prospettive future.

Come conclude lo stesso Gabrielli, “la storia della protezione civile continuerà ad essere costellata di tragedie, cui seguiranno necessarie faticose ripartenze. L’augurio è che ad ogni naufragio segua la forza e la capacità di reagire, facendo tesoro degli errori commessi e delle sconfitte patite, di riannodare i fili di un tessuto valoriale mai perduto, di ricercare un nuovo approdo verso nuove sfide”.