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Il caso del San Martino di Genova

by Flavio Cioffi
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La Procura della Repubblica di Genova avrebbe indagato 2.300 persone coinvolte in un giro di analisi di laboratorio effettuate senza far pagare il ticket dovuto.

I fatti contestati sarebbero avvenuti all’ospedale San Martino di Genova nel 2016 e 2017. Le ipotesi di reato sarebbero: falso, truffa ai danni dello Stato e accesso abusivo al sistema informatico.

Questa la notizia nuda e cruda com’è apparsa sui giornali e in televisione. Un caso di grave malcostume, certamente. E ad un meridionale viene anche da sorridere. Non è solo nella terronia inefficiente e imbrogliona per definizione che succedono queste cose, con buona pace dell’autonomia delle Regioni del Nord, richiesta a gran voce proprio in base alla loro presunta superiorità nella gestione della cosa pubblica.

Però andiamo a vedere più da vicino. Non sembra che gli indagati fossero d’accordo tra loro, non ci sarebbe una contestazione di associazione a delinquere. Non sembra neanche che ci fossero dazioni di qualche tipo in cambio del presunto illecito favore, non ci sarebbe corruzione o concussione insomma. Si tratterebbe, appunto, di favori fatti ad amici e familiari. I ticket non pagati sarebbero di importo modesto, dai 6 euro ai 35. Probabilmente il vero vantaggio consisteva nel saltare le code.

Dei 2.300 indagati, 600 sarebbero dipendenti dell’ospedale, i restanti 1.700 presumibilmente i suddetti amici. Cioè persone che avrebbero detto all’amico: tu lavori in ospedale, mi fai fare l’analisi del sangue (di questo stiamo parlando) velocemente che mi serve? Come no, vieni domani che subito facciamo.

E’ proprio quest’ultimo dato che sconcerta. Questa gente avrebbe commesso un reato e sarebbe complice di una truffa? Ma se si applica questo criterio bisogna indagare mezza Italia.

Qualcuno potrebbe sostenere che da qualche parte bisogna pur iniziare per far pulizia. Giusto, ma non è indifferente da dove si comincia. In un sistema notoriamente inefficiente e già superpagato dai cittadini con le tasse, forse si dovrebbe prima migliorare il servizio. Se impiego un tempo decente per fare un’analisi non ho bisogno di saltare la fila.

Qualcun’altro potrebbe eccepire che questo è un problema politico del quale la magistratura non può e non deve farsi carico. Gli inquirenti ricevono una notizia di reato e indagano. Giusto anche questo. Ma sarebbe contro legge mantenere un equilibrio tra il fatto e le conseguenze? Indagato, con tutto quello che comporta in termini di spese, ansia, ripercussioni anche aldilà del rinvio a giudizio e dell’eventuale condanna, per aver saltato una fila e risparmiato 6 euro? E quanto costa tutto questo allo Stato in termini economici e di distrazione di risorse? 2.300 indagati. Difficile che ci saranno 2.300 processi e 2.300 sentenze. Piuttosto, la corsa al patteggiamento.

Abbiamo trovato un solo precedente paragonabile, anche se non altrettanto elefantiaco. Quello dei falsi esami all’università di Catanzaro di svariati anni fa. Ma si trattava di lauree farlocche e i reati contestati comprendevano la corruzione.

Forse la cosa si ridimensionerà. Già si parla di mancanza di dolo, di malintesi, di buona fede, di errori nell’individuazione dei presunti responsabili.

Forse, invece, siamo noi ad essere fuori dal mondo e a non capire che la repressione generalizzata è la giusta risposta al malcostume. Altro che servizi efficienti, burocrazia snella, regole semplici, educazione civica e formazione. Il carcere ci vuole. E non solo per i furbetti del ticket. Anche per quelli del cartellino, dell’auto in doppia fila, dei portoghesi del trasporto pubblico, delle raccomandazioni a scuola, eccetera eccetera eccetera.

Ci rendiamo conto del rischio che, così ironizzando, si possa destare nell’opinione pubblica stupore piuttosto che riprovazione. E’ anche vero che i comportamenti censurati contribuiscono al dissesto della sanità. Ben venga il perseguimento di questi reati, se tali si dimostreranno. Però lo Stato non può essere solo censore. Qualche risposta dovrebbe darcela.