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Il PD alla conta delle primarie

by Bruno Gravagnuolo
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Finirà 55/60 per cento contro 45/40, la sfida Schlein – Bonaccini. Almeno a utilizzare come exit poll o proiezione il risultato del voto degli iscritti. E al netto di irregolarità pur registrate qua e là su conta e tessere.

Fin qui, a dire il vero, nessuno scontro aperto di strategia. Solo due sensibilità diverse, e non opposte, a confronto. Elly più antagonista e schierata per i più deboli e sfruttati. Più “eco socialista”, per usare un termine dell’ultimo Occhetto. Bonaccini più pragmatico, con sanità e scuola pubblica al centro, efficienza, politica industriale, ad esempio, su direttiva diesel e riconversione green di filiera motori.

Zero invece da entrambi candidati su alleanze, salvo il mero richiamo su “prima l’identità e poi il resto”. Quanto a Cuperlo e De Micheli, ad oggi sono stati laterali entrambi e incapaci di sparigliare. Prendono meno dell’8 il primo e tra il 4 e il 5 la seconda. Restano in campo i due competitor. La novità e l’usato sicuro ben governante. Con poche differenze su guerra e armi – ma Schlein è più trattativista – e una importante convergenza contro job act e precarietà.

Gioca a favore del governatore dell’Emilia il nucleo del partito che conta ormai nel Pd: sindaci e amministratori e militanza stagionata. A favore di Elly, viceversa, la protesta costruttiva, i giovani e le donne. Mentre persino qualche avversario o esterno moderato fa da sponda: Senaldi e Mieli. Che entrambi fanno appello al “cuore” e al novum, se andassero a votare…

Permane dunque il paradosso di una sfida tutta personale e nemmeno troppo accesa, ossia complementare, tra due figure personali. Non già una sfida congressuale vera e aperta, con piattaforme chiare e tesi strategiche in battaglia aperta una contro l’altra. E cioè con delegati dinanzi al paese e all’elettorato. Per strutturare una forma chiara di partito con minoranza e maggioranza che sostengano indirizzi e li correggano se il caso, tramite distinzioni e convergenze sui vari temi all’ordine del giorno, nella lunga traversata contro la destra. Nulla di tutto questo, bensì molte domande inevase.

Del tipo: opposizione costruttiva? Radicale? Con quali alleati? Specie sul punto delle istituzioni e della forma di governo, cavallo di battaglia di una destra che intende allargare il suo perimetro al centro liberal. E non che differenze forti non vi siano dentro il Pd a riguardo! Solo che esse restano ben celate e opache dentro listini legati ai candidati inclusivi di storie, idee, biografie e posizioni molto diverse. Con sinistra più radicale e progressisti più moderati ben mescolati dentro le opposte liste. Valga il caso di Franceschini dentro Schlein e la curiosa scelta di Chiamparino, ex renziano, per Cuperlo. Certo, la sinistra della ‘ditta’ e post ditta sta con Schlein in prevalenza, da Boccia e Orlando e Bersani a Provenzano. Mentre il post renzismo sta con Bonaccini critico a suo modo del passato. Tuttavia ciò non dissipa una certa mancanza di chiarezza e trasparenza per l’indomani e l’oggi.

Per esempio. Per chi voteranno domenica in blocco i cuperliani e i pro De Micheli ai gazebo? E ancora: il match gazebo potrà ribaltare il verdetto degli iscritti di partito? In teoria sì. Anche se pesa molto il primo voto, ben accompagnato come sarà senza dubbio ai seggi civici dal partito governante i territori. Ma ove mai si arrivasse a un ribaltone si determinerebbe una ben strana situazione. Due segretari e due diversi partiti. Uno degli iscritti e uno dei cittadini! Una ipotesi bizzarra. Che tale resterebbe, anche in caso di quasi pareggio. Con una ‘forma partito non forma’ e confusa. In bilico tra scontro permanente, consociazione e cooptazione, per preservarne di necessità una unità a questo punto confusa e minacciata da guerriglia interna e con ricadute rovinose sul senso stesso e sulla direzione della strategia di opposizione.

Come che sia, malgrado la probabile vittoria di Bonaccini, la novità Schlein vi sarà a quanto pare. Almeno in termini di seggi all’assemblea nazionale. Ed il quesito resta: sarà consociazione con Schlein ammansita, oppure scontro tra le diverse anime sia pur rimescolate? In entrambi i casi è una prospettiva non felice per un partito che deve recuperare una sua centralità egemonica, più che l’ambigua vocazione maggioritaria di cui parla Bonaccini, che stava tutta dentro la visione maggioritaria bipartitica americana, teorizzata da Veltroni e ormai fallita.

Ma a dipanare tutti questi nodi, in una con un processo condiviso e non confuso dentro la fisiologia di un partito plurale, occorrerebbe mettere subito all’ordine del giorno una radicale riforma statutaria. Per ridare vita alle istanze intermedie e delimitare l’ambito delle primarie riservandole a temi controversi e cariche elettive generali. E per rifondare alfine una ‘forma forte’, come dice anche Bettini nel suo “A Sinistra. Da capo”. Una forma partito basata su congressi e delegati di partito. Associazioni e cittadini. In grado di ripristinare a sinistra appartenenza, selezione di linea e gruppi dirigenti. E di qui muovere alla riconquista di un consenso di massa.