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Il processo telematico e l’udienza da remoto

by Maria Vessichelli
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L’Autrice è Presidente di Sezione della Corte di Cassazione.

E’ legge dello Stato il decreto “cura Italia” convertito con approvazione definitiva il 24 aprile 2020 e destinato ad entrare in vigore il giorno stesso della sua (imminente) pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il testo normativo contiene, quanto al settore giustizia, vistose modifiche rispetto al decreto originario (n. 18 del 2020), modifiche invero in parte destinate persino ad essere rimodulate a breve, se e quando sarà convertito in legge il decreto n. 23 del 2020, che a sua volta aveva rivisto, allungandoli, taluni termini del periodo di generalizzata sospensione delle udienze, a causa del perdurare dell’ingravescente stato di pandemia in atto.

La sensazione, invero, è di una certa inestricabile confusione, non solo perché, come detto, si rincorrono gli effetti della produzione abnorme dei provvedimenti di decretazione di urgenza, ma anche perché sono stati adottati provvedimenti organizzativi dei capi degli Uffici giudiziari che hanno dato attuazione alla normativa primaria e che riflettono gli stessi limiti di questa.

Inoltre, risulta riconosciuta ampia legittimazione al procedimento da remoto, ossia con collegamento a distanza fra i relativi partecipanti, con una iniziativa che, per quanto resa cogente dalla attuale crisi sanitaria e dalla necessità di distanziamento sociale, presenta la possibilità di una propria stabilizzazione, suscitando forti perplessità da parte di tutti gli operatori della giustizia.

Il testo della legge di conversione, come diffuso dai media, ricalca quello del decreto quanto alla individuazione di due periodi fondamentali: quello, definito dagli operatori, come c.d. cuscinetto (dal 9 marzo al 15 aprile 2020) in cui la regola è la sospensione di tutte le udienze, civili e penali, con sospensione anche di tutti i termini processuali, della prescrizione, e di quelli cautelari del processo penale.

Con la seguente eccezione.

Nel secondo periodo, che va dal 16 aprile al 30 giugno, di regola, vanno celebrati in udienze straordinarie, i processi che fanno, appunto, eccezione alla regola generale e che, cioè, in ragione di loro peculiarità, vanno trattati con priorità assoluta e senza sospensione dei termini di custodia o processuali: grosso modo, si tratta dei procedimenti civili riguardanti minorenni, interdizioni, abusi familiari, espulsioni e, quanto al settore penale, di procedimenti che riguardano essenzialmente detenuti o sottoposti a custodia cautelare, o ancora procedimenti in cui vengono in considerazione misure di prevenzione o di sicurezza detentive o aventi altre caratteristiche di urgenza. In taluni casi la trattazione è subordinata alla richiesta della difesa.

E’ bene subito precisare – con ciò rinvigorendosi la prospettiva della confusione – che le date di fine del primo periodo e inizio del secondo sono state spostate sull’11|12 maggio (e per i processi con detenuti in scadenza termini, fino al 12 novembre), dal decreto legge n. 23 del 2020 che è attualmente in vigore.

Gli altri processi, non presentando ragioni di urgenza, vanno di regola rinviati a dopo il 30 giugno 2020 sulla base di appositi provvedimenti dei Capi degli uffici, essendo prevista la sospensione della prescrizione e degli altri termini.

Per i processi civili che non richiedono la presenza di testimoni, il decreto legge aveva già espressamente previsto lo svolgimento delle udienze mediante collegamento delle parti e del giudice, da remoto, nonché lo scambio telematico di note scritte.

E’ bene ribadire che il periodo che il legislatore ha inteso regolamentare con le nuove norme è comunque, di regola, solo quello della emergenza, fissato al prossimo 30 giugno.

Il nuovo impianto della legge di conversione conferma e in parte nuovamente prevede che, entro lo stesso termine, nei procedimenti civili sia ampliato l’onere di deposito telematico dei documenti anche per il giudizio in cassazione.

Nei procedimenti penali, fino al 30 giugno, si ribadisce che la regola di partecipazione al processo del detenuto è quella del collegamento da remoto, senza limitazioni.

La novità è invece quella della esplicita regolamentazione, per lo stesso periodo, della udienza penale a cui debbano partecipare solo le parti, i difensori e gli ausiliari del giudice, con modalità da remoto. Come già previsto per il civile.

Altra novità è quella che riguarda i soli processi penali da trattare in cassazione (che già di regola si svolgono in presenza delle sole parti, oltre al giudice), per i quali viene introdotto in modo generalizzato il ricorso alla procedura camerale non partecipata (senza cioè nemmeno le parti), a meno che, in modi e tempi fissati, la parte ricorrente faccia richiesta di discussione orale.

Si conferma, infine, la possibilità generalizzata di notificazione, rivolta ai soli difensori di fiducia, nei processi penali, a mezzo PEC.

Tanto premesso, ciò che resta, al netto dell’esame dei tecnicismi del decreto legge convertito, destinati formalmente a scadere, come detto, il 30 giugno, è la valutazione del se questi mutamenti, sicuramente figli di un uso avanzato della tecnologia a disposizione, siano destinati ad incidere, per il futuro, sul modello di processo auspicabile e difendibile.

Non era, infatti, fino ad oggi, una novità assoluta né il processo telematico, né l’udienza con collegamento da remoto, dove quest’ultimo termine stava però ad indicare la sola modalità di partecipazione di taluni imputati di gravi reati.

Il processo telematico, infatti, sin dal 2014 è operativo negli uffici di merito civili (tribunali e corti d’appello), nel senso che è previsto che il deposito degli atti processuali e di documenti avvenga esclusivamente con modalità telematiche, ossia, appunto, da remoto, ciò che consente la consultazione on-line del fascicolo processuale. Si era avviato, come detto con espressione efficace, il giusto processo di smaterializzazione delle carte.

Quanto al settore penale, da oltre un ventennio è stata prevista la sola partecipazione al dibattimento a distanza, degli imputati di taluni e specifici reati particolarmente gravi, collegando audiovisivamente questi ultimi all’aula di udienza, dal luogo di custodia, e così ponendoli nella condizione di seguire in modo attivo, ma con la mediazione dello schermo, la celebrazione del processo. Il tutto determinato essenzialmente da motivi di ordine pubblico e di agevolazione dei processi con problematiche di sicurezza.

Il dramma cagionato dal corona virus e l’obbligo di distanziamento sociale che ne è scaturito ha fatto fare un violento salto di qualità a questo complesso e lento processo di informatizzazione perché coloro che azionano le leve della organizzazione del servizio giustizia, legislatore e titolari di poteri di alta amministrazione, hanno portato alla ribalta, nei tempi brevissimi loro concessi, un uso ben più incisivo della modalità telematica. Con la possibilità che oggi si prefigura, del procrastinarsi di esso anche dopo la fine della emergenza.

Il tema è se si voglia puntare al modello telematico che, portato alle estreme conseguenze, è destinato a generare un processo a trattazione scritta, con buona pace dei principi di “oralità” e trattazione “in presenza”, rese ancor più cogenti dalla previsione della CEDU, art. 6, secondo cui, salvo eccezioni giustificate, il giudizio di merito deve essere pubblico.

E questo principio corrisponde ad una esigenza che costituisce l’in sé del giudicare ossia, relativamente ai gradi di merito, il contatto visivo tra il soggetto che partecipa alla causa o che subisce il processo e il giudice, tra il giudice e le altre parti, al fine di cogliere dettagli o sfumature che possono sfuggire ad una fredda e limitata inquadratura del mezzo telematico.

Per non parlare della messa in pericolo della collegialità della decisione di un organo composto da più giudici, e della completezza della discussione. Basti pensare che la camera di consiglio da remoto presuppone la perfetta conoscenza del fascicolo processuale da parte dei giudici ed in particolare del relatore, il quale dunque deve poter disporre degli atti che ad esso siano trasmessi telematicamente, con adeguata tempestività, da un corpo amministrativo addestrato e rinforzato.

C’è chi ha affermato che non tutto il nuovo è da cestinare per il futuro.

In particolare il giudizio di legittimità, nel quale la discussione orale, quando è prevista, richiede la sola presenza del difensore e del Procuratore generale, e il perimetro del contendere è comunque già interamente delineato dall’atto introduttivo e dalle memorie, il processo telematico e la camera di consiglio convocata da remoto potrebbero giocare un ruolo determinante per l’accelerazione delle definizioni. Sia pure con gli accorgimenti sopra descritti.

Io resto ferma sul parere negativo anche su questa soluzione di minima.

E non solo per un ancoraggio ai valori fin qui proclamati e perseguiti nelle sedi processuali e sovranazionali, o per un travisato amore verso il passato, ma perché penso che così come il processo di merito non possa essere privato di garanzie fondamentali per l’accertamento che gli è demandato, allo stesso modo il giudizio di legittimità non possa essere visto soltanto nella ottica dello smaltimento quantitativo delle pendenze.

Qualsiasi modalità che tenda alla accelerazione delle definizioni dinanzi alla Corte, pregiudicando la qualità dello studio e la adeguatezza della decisione va posposta ad iniziative che primariamente dovrebbero invece essere volte a creare filtri in entrata e a destinare, così, al vaglio pieno della Cassazione le sole questioni che necessitano di nomofilachia.

D’altra parte, se il processo con collegamento da remoto venisse visto come l’alternativa semplificata e immediata ad una seria riforma delle impugnazioni, il non detto è che si tratterebbe, allo stato, di una rimodulazione di alcune forme del processo di legittimità, a costo zero per l’amministrazione, ma a costi forse molto elevati per la qualità del servizio reso.