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Il taglio dei parlamentari tra pancia e mente

by Luigi Gravagnuolo
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Certo che i parlamentari italiani, in settanta anni, ci hanno messo del loro se oggi i sondaggi sul Referendum confermativo del taglio delle loro poltrone danno il Sì al 70%!

Non è retorica faziosa la costatazione dell’inutilità di tanti di loro, della loro indolenza e della vita lasciva romana alla quale si sono lasciati andare una volta eletti. Dal ‘48 ad oggi, alla bouvette di Montecitorio hanno preso il caffè personalità eminenti della nostra Nazione e le ciccioline di turno. E negli ultimi anni neanche più le ciccioline, solo un gran numero di auree mediocrità.  Per lo meno la Cicciolina originale, nella sua trasgressività, esprimeva pur sempre un valore.

Insomma, l’indignazione degli Italiani per i vizi e per l’inutilità della casta, che costa non poco ai contribuenti, è più che comprensibile. Tanto più che si tratta dello stesso Parlamento che ogni anno legifera sul bilancio dello Stato imponendo nuove e pesanti gabelle ai cittadini, finalizzate a ridurre un debito che è stato contratto negli ultimi quaranta anni da governi espressione dei parlamentari volta per volta eletti.

Né serve ricordare l’altrettanto incontrovertibile verità dei tanti Deputati e Senatori della Repubblica che hanno onorato la carica con abnegazione ed irreprensibile rettitudine. Appunto – ribattono quelli del Sì – se solo una parte ha fatto il suo dovere, vuol dire che il Parlamento e la democrazia possono funzionare anche con un minor numero di deputati e senatori.

La pancia insomma dice Sì. Se ci si ragiona su però i conti non tornano.

Intanto verrebbe da chiedere agli stomacati tagliatori di testa, sedicenti populisti, chi ha votato i parlamentari fannulloni nelle varie tornate elettorali. Non li ha votati forse quello stesso popolo di fronte al quale essi si genuflettono? E se il popolo vota le persone sbagliate, il problema non sta a monte, negli elettori, prima che negli eletti? Se poi il populista indignato volesse controbattere che i parlamentari inutili non li ha votati di certo lui, bensì altri, embè, forse ha qualche problema con la democrazia, non col numero dei parlamentari.

Ma entriamo nel merito e cominciamo col confrontare questo sgangherato taglio di parlamentari su cui il venti settembre voteremo con la Riforma RenziBoschi. Di tutt’altro spessore, se mi è consentito dirlo. Anche quella riforma tagliava i costi di 315 senatori – l’attuale taglia 345 tra deputati e senatori, dal punto di vista del risparmio stiamo lì – ma non riduceva la rappresentanza degli Italiani, nelle loro varie articolazioni culturali, politiche ed ideali; anzi, aggiungeva ad essa una più congrua rappresentanza dei territori.  Chiudeva infatti con la stagione del bicameralismo perfetto, sopprimeva il Senato fotocopia della Camera e ne faceva la Camera dei Territori, i cui 315 rappresentanti sarebbero stati eletti dai consigli regionali. Essendo scelti tra i consiglieri regionali e tra i sindaci in carica, il loro costo sarebbe stato già coperto ex ante dalle rispettive indennità in essere. In breve, la Renzi-Boschi aumentava la rappresentanza, riduceva i costi ed accresceva l’efficienza della legiferazione in quanto per buona parte delle leggi ordinarie sarebbe stato sufficiente il voto di una sola Camera, quella dei Deputati.

Quella riforma era stata votata, fino alla vigilia della sua ultima approvazione parlamentare, da più dei due terzi delle Camere. Ciò grazie al Patto del Nazareno, che aveva garantito il sostegno di Forza Italia e di altre componenti della destra parlamentare alla proposta di riforma elaborata dalla maggioranza di centro-sinistra. Se fosse stata approvata con i numeri con i quali era partita, non ci sarebbe stato neanche bisogno di un referendum confermativo.

Viceversa il buon Renzi ce la mise tutta per far saltare il banco. Alla prima occasione – gennaio 2015, elezione del nuovo Capo dello Stato – ruppe il Patto del Nazareno e impose Sergio Mattarella al Quirinale con un atto di forza unilaterale. Berlusconi reagì e cominciò il sabotaggio della Riforma. Dagli e ridagli, la Riforma finì con l’essere approvata da meno dei due terzi dei parlamentari e fu conseguentemente chiesto il referendum confermativo. Qui Renzi, in preda ad ebbrezza superomistica, trasformò un voto popolare, già problematico su una materia di per sé complessa, in un referendum sulla sua persona. Votate Sì alla Riforma e sarò il vostro leader per un ventennio, se però voterete No lascerò la vita politica. Evvaiii, votiamo no e togliamocelo di torno. E così fu.

La riformetta attuale, quella sulla quale voteremo, contrariamente alla Renzi-Boschi è di una disarmante semplicità. La premessa è che i parlamentari sono fannulloni e in buona parte non servono, la conclusione è che intanto si comincia a tagliarne 345. Poi si vedrà di eliminare anche la garanzia della libertà di coscienza dei singoli parlamentari introducendo il vincolo di mandato ed alla fine, nella sede della Casaleggio Associati si potranno finalmente decidere le sorti dell’Italia senza l’ingombro di tanti, costosi parlamentari con la velleità di pensare con la propria testa.

Grosso modo, senza disporre delle sofisticherie telematiche attuali, allora inesistenti, la pensò allo stesso modo il Duce. La Camera fu soppressa a favore della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, dove vigeva il ferreo vincolo di mandato, e le sorti dell’Italia finirono nelle mani del Gran Consiglio del Fascismo

Come andò a finire è cosa nota. Ecco, con tutta la comprensione per i sentimenti degli Italiani, direi che sia proprio il caso di darsi un pizzico sulla … pancia e di votare NO.