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Il Teatro antico di Ercolano

by Piera De Prosperis
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Il 22 ottobre 1738 Carlo di Borbone fece riprendere i lavori di scavo nel luogo in cui il contadino Ambrogio Nocerino, detto Enzechetta, aveva scavato un pozzo nel suo terreno, alla ricerca di una falda d’acqua. Enzechetta aveva scavato ininterrottamente, con il piccone, le durissime pareti di roccia vulcanica, se ne vedono ancora le tracce, fino ad arrivare all’interno del Teatro di cui cominciò a trarre i marmi che lo ornavano ed a venderli al principe d’Elboeuf che ne capì il valore inestimabile.

La storia del Teatro antico di Ercolano è una storia di furti, vendite e regali a sovrani stranieri come se tutto fosse proprietà privata, ma era un altro mondo e il concetto di bene culturale era molto di là da venire. Oggi, a distanza di 280 anni dall’inizio dello scavo sistematico ad opera dell’ingegnere del Genio, Alcubierre, e a 20 dalla chiusura al pubblico del sito per sempre interrato, si riprendono le visite guidate. Il luogo è stato messo in sicurezza, i visitatori in gruppi di dieci, accompagnati da due operatori del PAErco Teatro Tour, muniti di caschetto di protezione, impermeabile, torcia, seguono un percorso che, utilizzando le antiche scale borboniche, conduce al piano dell’orchestra, al proscenio, al pulpitum ed ai tribunalia. Il percorso è sdrucciolevole per la presenza di quella falda che Enzechetta cercava, il che paradossalmente ha conservato meglio le pitture presenti e i graffiti di coloro che durante il prosieguo degli scavi e durante la Seconda guerra mondiale, quando il sito divenne rifugio antiaereo, lasciarono ad imperituro, ma discutibile, ricordo del loro passaggio.

Non c’è niente da aggiungere a quello che i testi raccontano della storia della scoperta e della spoliazione del sito, ma ciò che la bibliografia non dice è il senso di sacralità che emanano quei luoghi. Perfettamente conservati, ai quali si accede dalle viscere del corso Resina. Il silenzio della profondità è interrotto talvolta da qualche gocciolio ma lì il tempo è fermo. In uno dei cunicoli ci guarda il volto di Nonio Balbo, in realtà la testa di una statua staccata dal resto dalla violenza del magma e rimasta incastonata nella pietra. Al proconsole Nonio Balbo, mecenate che volle rendere Ercolano da città di mattoni città di marmo per lo splendore degli arredi urbani posti a sue spese, gli abitanti, grati, dedicarono numerose statue, senza contare la tribuna d’onore nel teatro per lui, la sua famiglia e i suoi eredi.

Il sito archeologico non verrà mai alla luce perché al piano di calpestio c’è tutta la città moderna, ma se il teatro non può far sentire la sua voce, gli umani, al piano superiore scavano ancora senza curarsi di cosa c’è sotto. Si vede in uno dei pozzi antichi, utilizzati per tirare fuori i reperti, una finestrina che dà luce al bagno di una signora che aveva bisogno di prendere aria da qualche parte.

Fascino imperituro che si aggiunge a quello della città emersa: anzi, poiché la biglietteria degli scavi è stata posta, con i tornelli, in una posizione arretrata rispetto all’antico ingresso, è possibile per chiunque entrare per un centinaio di metri e guardare dall’alto l’Herculanueum di una volta. Commuove che giovani, vecchi, nonni con passeggini, turisti, anche per caso, si seggano sulle apposite sporgenze per guardare solamente, senza altra intenzione che godersi uno spettacolo incredibile che continua sotto, questa volta occultato, ma che è parte integrante di esso.

Lodevole l’iniziativa ed intelligente l’impostazione, forse davvero stiamo cominciando a capire di possedere un tesoro di inestimabile valore che deve essere goduto da tutti.

di Piera De Prosperis

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