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La condizione per la pace in Palestina

by Luigi Gravagnuolo
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Parliamo di Medio Oriente, più esattamente della Palestina, da millenni terra contesa da uomini e dèi. In quelle sacre lande le identità religiose si sono storicamente fuse con quelle geo-etniche in una diabolica miscela esplosiva.

La questione israelo-palestinese contemporanea è iniziata nell’immediato dopoguerra, quando l’Occidente, a risarcimento dell’olocausto, assegnò al popolo ebraico una striscia di terra già abitata dai Palestinesi, ancorché protettorato inglese.

Avrebbero potuto convivere pacificamente Israeliani e Palestinesi – come difatti già convivevano in quel protettorato – se non ci si fossero messi di mezzo gli dèi. Per l’Antica Alleanza JHVH aveva eletto e prediletto tra tutti i popoli solo quello ebraico. Ad esso aveva affidato una Legge e promesso una Terra, ad esso aveva chiesto di edificargli il Tempio per eccellenza, quello di Gerusalemme.

La Bibbia ci racconta delle feroci guerre sostenute da Israele per conquistare quella terra e per difenderla; perderla e venirne espulsa; riconquistarla e riperderla. Così, per generazioni e generazioni gridavano i profeti, fino all’avvento del Messia che avrebbe soggiogato il mondo alla legge di Mosè.

E il Messia venne, duemila anni fa. Ma annunciò un Regno non di questa terra e predicò la pace, la convivenza tra diversi, la tolleranza ed il rispetto reciproco. Parlò a pubblicani e prostitute, rispettò le donne, giudee o samaritane che fossero, mise l’uomo prima della formalità della Legge. I Giudei non lo riconobbero e fu crocifisso per volontà dei sommi sacerdoti del sinedrio, custodi della Legge di Mosè.

Gesù e i primi cristiani frequentarono il tempio di Gerusalemme, così come, sette secoli dopo, lo frequenteranno gli arabi e i beduini seguaci di Maometto. Inevitabili i conflitti.

Quando nel ‘48 gli Ebrei, col favore del mondo intero, si insediarono in Palestina tesero a costruire uno Stato identitario e confessionale. Avrebbero sì tollerato la compresenza all’interno del proprio Stato di altre nazionalità, anche dei Palestinesi, ma in posizione sociale e giuridica subalterna. A se stessi, popolo eletto, sarebbero stati riconosciuti in via esclusiva la proprietà delle migliori terre e delle case già appartenute ai Palestinesi, che ne furono espulsi, il controllo dell’economia, l’esclusività delle gerarchie dello Stato, delle Accademie, delle strutture sanitarie, delle Forze Armate. Centinaia di migliaia di Palestinesi abbandonarono quella terra. Profughi.

Inevitabile la loro ribellione. E guerre, ancora guerre. Israele, vincendole tutte, ha allargato i confini assegnatile nel dopoguerra, indifferente alle ripetute risoluzioni dell’ONU di condanna del suo operato. Peraltro le sue tendenze più oltranziste non fanno mistero del progetto di impadronirsi anche dei piccoli lembi di terra ancora faticosamente controllati dai Palestinesi.

Per questo si oppongono a che la Palestina sia riconosciuta dal consesso degli Stati mondiali come Stato sovrano. Ciononostante, ad oggi, 141 su 208 Paesi del mondo già hanno riconosciuto lo Stato della Palestina. Tra questi la Santa Sede, dal 2015. Non però gli Stati Uniti, né l’UE, non l’ONU, non l’Italia.

L’ONU – e noi con essa – riconosce all’Assemblea Nazionale della Palestina, ANP., solo lo status di rappresentanza del popolo palestinese e di osservatore presso di sé. Insomma le tutele del diritto internazionale riconosciute agli Stati indipendenti e sovrani valgono per la Palestina solo in forma affievolita.

È stato anche ciò che ha reso possibile al presidente USA., Donald Trump, di imporre nei giorni scorsi una pace farlocca a fini elettorali interni agli Stati Uniti. Con essa alcune importanti potenze arabe dell’area hanno riconosciuto come legittime ulteriori acquisizioni di territori palestinesi da parte di Israele, sia pure in cambio della sospensione per quattro anni di ulteriori annessioni unilaterali.

In questo scenario giovedì scorso, 24 settembre, si è svolta la visita ufficiale alle città di Salerno e di Cava de’ Tirreni dell’ambasciatrice della Palestina in Italia, S.E. Abeer Odeh. Invitata dalla onlus Memoria in Movimento, l’ambasciatrice in mattinata è stata ricevuta dal vescovo della Diocesi Salerno-Acerno-Campagna, dal sindaco di Salerno, dal magnifico rettore dell’Università di Salerno (per delega) e dal Presidente della CCIAA e di Confindustria Salerno. In particolare con quest’ultimo, dott. Andrea Prete, l’ambasciatrice, già ministro dell’economia della Palestina, ha intessuto un proficuo colloquio su futuri possibili scambi commerciali.

Nel pomeriggio la delegazione si è trasferita a Cava de’ Tirreni, unica città della provincia ad aver approvato all’unanimità, per due volte nell’ultimo decennio, una deliberazione consiliare in cui si sono ‘fatti voti’ al Parlamento ed al Governo italiani affinché il nostro Paese riconosca la Palestina come Stato indipendente e sovrano. Dopo essere stata ricevuta dal sindaco e dal vescovo della Diocesi Cava-Amalfi, nella città metelliana S.E. Odeh ha anche tenuto un incontro con i cittadini presso il Convento di San Francesco e Sant’Antonio, dove ha illustrato criticamente i contenuti della cosiddetta ‘pace del secolo’ voluta da Trump ed ha chiesto il sostegno delle popolazioni e delle autorità dell’Europa affinché finalmente venga riconosciuta universalmente l’esistenza dello Stato della Palestina.

Nella sua introduzione all’incontro, visibilmente emozionato, il presidente di Memoria in Movimento, Angelo Orientale, citando Mons. Hilaryon Cappucci, recentemente scomparso, ha ribadito con forza l’urgenza di una mobilitazione popolare pro-Palestina perché “l’unica strada che conduce alla pace è la giustizia, l’equità, il rispetto dei diritti dei popoli”. Un rispetto che, nel caso della Palestina, significa riconoscimento della sua autonoma sovranità.