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La metafora di Cutro

by Pietro Spirito
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Sessantasette bare allineate nel Palasport di Crotone: davanti a loro il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, stretto nel silenzio di parole che non servono a nulla, in queste circostanze. I cadaveri recuperati sono ora diventati sessantanove, e la strage di Cutro sembra uno stillicidio senza fine.

Le polemiche sui mancati o tardivi soccorsi si sono moltiplicate nel corso di questi giorni, come pure le contestazioni verso le inopportune frasi del Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che si è lasciato andare ad affermazioni kennediane del tutto fuori luogo.

Eppure, le discussioni che si intrecciano sembrano sottovalutare la questione essenziale che la tragedia di Cutro dovrebbe agitate nelle coscienze di ognuno. Quali sono gli ordini che determinano le azioni delle istituzioni pubbliche? Non si tratta di direttive specifiche per ciascuna singola vicenda, ma l’indirizzo che promana da una impostazione politica di fondo.

La storia affonda le sue radici dal Governo Conte I, quando si modifica una impostazione di lunga data del governo italiano, che in precedenza era centrato innanzitutto sul salvataggio dei naufraghi. La missione Mare Nostrum aveva esaltato le qualità della nostra Guardia Costiera, con operazioni continue di grande maestria tecnica, al punto tale che il nostro corpo era stato candidato anche al Premio Nobel per la Pace. La consapevolezza dell’eroismo dei nostri militari resta, pur se oggi è avvolto da una coltre di impotenza.

Sulle politiche verso i migranti, il Ministro degli Interni Matteo Salvini effettuò una virata a centottanta gradi, prima con lo slogan sulla chiusura dei porti e poi con il decreto sicurezza, che spostò l’asse della impostazione politica dal Salvataggio in mare alla persecuzione verso l’immigrazione clandestina, con una polemica senza quartiere conto le organizzazioni non governative, che con propri mezzi avevano continuato gli interventi per il salvataggio in mare.

Peraltro, Matteo Salvini, in sordina, tentò anche di avocare al Ministero degli Interni la responsabilità di direzione sulla Guardia Costiera che dipendeva, ed ancora dipende, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Comunque, riuscì nel suo disegno di mettere la museruola alla Guardia Costiera sulle operazioni di salvataggio dei migranti a rischio durante la navigazione nel Mediterraneo.

Non casualmente, l’allora Comandante della Capitaneria, Ammiraglio Giovanni Pettorino, nel corso della cerimonia per l’annuale anniversario del corpo, nel 2018, citò l’eroismo di Salvatore Todaro, Ufficiale della Marina Italiana durante la Seconda guerra mondiale, autore di un eroico gesto di recupero di naufraghi in mare durante una operazione militare.

Su questa vicenda, proprio in queste settimane, è stato pubblicato il libro di Eduardo De Angelis e Sandro Veronesi, “Comandante”, Bompiani Editore, che ricostruisce la storia di questa azione coraggiosa. Il sommergibile Cappellini, varcato lo stretto di Gibilterra, si trova in pieno Atlantico per effettuare un pattugliamento sul naviglio in transito. L’equipaggio del sommergibile rappresenta “il crogiuolo dove tutti i dialetti, piccoli manufatti ed opere d’ingegno, ottuse credenze pagane, la rivoluzione egualitaria del cristianesimo e le vecchie reliquie si sono fusi”.

Una nave commerciale battente bandiera belga, il Kabalo, viaggia a luci spente. Salvatore Todaro ordina l’attacco, e l’imbarcazione affonda. L’ordine numero 154 di Donitz è chiarissimo: dice che bisogna lasciare i naufraghi al loro destino ed andarsene. Gli stessi ordini sono comuni anche al campo avverso. E’ la guerra.

Todaro decide però di violare l’ordine e tutti i sopravvissuti sono tratti in salvo, in parte a bordo del sommergibile ed in parte a traino in una scialuppa di salvataggio. La prova più difficile deve ancora però venire. Viene avvistata una squadra navale inglese, a 150 miglia dal porto più sicuro, Santa Maria delle Azzorre.

Salvatore Todaro decide di non lasciare al proprio destino i naufraghi, in modo tale da immergere il sommergibile e porsi in salvo dal possibile attacco: “Noi affondiamo il ferro nemico, senza paura e senza pietà, ma l’uomo, l’uomo lo salviamo”. La decisione del comandante è irrevocabile, nonostante le perplessità dell’equipaggio.

La mossa di Todaro è azzardata. Decide di trasmettere alla flottiglia inglese il seguente messaggio: “Qui il Comandante Salvatore Todaro, del sommergibile Cappellini, Regia Marina italiana. Stiamo trasportando i ventisei naufraghi del piroscafo belga Kabalo”. Il comandante inglese ordina il cessate il fuoco e di far suonare le sirene mentre il sommergibile passa, per il saluto militare.

Scrive alla moglie Todaro: “Rina carissima, oggi è un giorno fausto. C’è un eroismo barbaro e ce n’è un altro davanti al quale l’anima si mette a piangere: il soldato che vince non è mai così grande come quando si inchina al soldato vinto. Oggi, noi e i nostri nemici insieme, ci siamo salvati”.

A Cutro non ci siamo salvati. Continua a prevalere la disposizione in base alla quale l’intervento è innanzitutto finalizzato a reprimere l’immigrazione clandestina, piuttosto che non a salvare in mare le persone in pericolo. Si spiega così l’intervento della vedetta della Guardia di Finanza, prima che della motovedetta della Guardia Costiera.

Non è sempre stato così, non era così prima delle direttive di Matteo Salvini, Ministro degli Interni. Non è in discussione la dinamica degli eventi, che certamente è stata concitata, come avviene sempre in questi casi. Nella vita, modificando l’ordine degli addendi, il prodotto cambia. Così è successo a largo di Cutro. Se l’indirizzo fornito ai corpi dello Stato fosse stato quello di salvare innanzitutto vite umane, l’esito sarebbe stato radicalmente differente.

Sarebbe ora auspicabile che vi fosse un cambiamento di indirizzo, dopo una tragedia che ha toccato le profondamente coscienze. Proprio oggi la Premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il prossimo Consiglio dei Ministri si svolgerà molto probabilmente a Cutro. Sarebbe davvero auspicabile che lo spirito del luogo possa far ricordare a chi ci governa quell’eroismo di Salvatore Todaro che ha sempre caratterizzato il senso della nostra nazione. E’ la ragione per la quale siamo sempre orgogliosi di essere italiani.