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LE CITAZIONI: Giordano. Il lampo di luce della bomba atomica

Paolo Giordano

by Ernesto Scelza
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Paolo Giordano, torinese, ha un dottorato in fisica. È l’erede dei grandi scrittori scienziati del Novecento italiano. Il suo primo romanzo, ‘La solitudine dei numeri primi’, del 2008, è vincitore del ‘Premio Strega’ e del ‘Premio Campiello Opera Prima’. Tasmania’ è un romanzo sul futuro: “Il futuro che temiamo e desideriamo, quello che non avremo, che possiamo cambiare, che stiamo costruendo”. La magia del romanzo è “la forza con cui ci chiama a ogni pagina, è la rifrazione naturale fra ciò che accade fuori e dentro di noi. Così persino il fantasma della bomba atomica, che il protagonista studia e ricostruisce, diventa un esorcismo: l’apocalisse è in questo nostro dibattersi, e nei movimenti incontrollabili del cuore”.

 

«Molti sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki descrivono l’esplosione atomica come un evento silenzioso. Il termine giapponese con cui viene indicato è pikadon, l’unione di pika, luce, e don, boato. Eppure… quasi nessuno dei sopravvissuti ricorda di aver udito il rumore dello scoppio. Tutti, invece, ricordano il lampo di luce.

Il flash ha preceduto l’onda d’urto di un tempo abbastanza lungo perché le persone potessero contemplarlo. Per un attimo il paesaggio si è trasformato con colori mai visti, molti dicono bianco, ma altri parlano di rosso, giallo, arancione, blu. In effetti, nei filmati dei test atomici il flash assume diverse tonalità una dopo l’altra, come se la pellicola fosse danneggiata. Quando l’onda d’urto ha infine investito Hiroshima e Nagasaki, è stata cosí potente da non concedere piú il tempo di rendersi conto di nulla.

“Alle 8:15 (del 6 agosto 1945) vidi il flash bianco azzurrato dalla finestra”, ha detto Setsuko Thurlow nel discorso per il conferimento del premio Nobel per la pace. “Ricordo di aver avuto la sensazione di fluttuare nell’aria” (…).

Anche Hiroshi Sawachika, che aveva ventotto anni, ha scritto che dopo il flash si sentí improvvisamente “nel vuoto”. E Shuntaro Hida, nelle sue memorie, parla di un’esperienza di volo (…).

Enrico Fermi aveva visto il flash prima di loro, per l’esattezza venti giorni prima, durante il Trinity Test: a tutti gli effetti, la prima esplosione atomica della storia. All’epoca aveva quasi quarantaquattro anni, aveva già vinto il Nobel ed era scappato negli Stati Uniti dopo l’introduzione in Italia delle leggi razziali che sarebbero ricadute sulla moglie Laura. Si era ritrovato a continuare lí i suoi studi sull’uranio, sui neutroni lenti e i decadimenti radioattivi, ma finalizzati adesso alla costruzione dell’arma piú potente mai immaginata. Il 16 luglio 1945, nel deserto del New Mexico chiamato sinistramente ‘Jornada del Muerto’, il progetto era arrivato a compimento.

In realtà, Fermi vide l’esplosione senza vederla, perché in quel momento preferí distogliere lo sguardo dal vetro oscurato che lo separava dal deserto. “Ho avuto l’impressione che all’improvviso la campagna fosse piú rischiarata che in pieno giorno”, avrebbe scritto. Peccato che il sole non fosse ancora spuntato, erano appena le cinque e mezzo del mattino.

(…) Dopo il Trinity, molti fisici del Progetto Manhattan non credevano che le bombe sarebbero state utilizzate veramente, di certo non su obiettivi civili. Si trattava di armi troppo distruttive per non servire solo a scopi dimostrativi. Robert Oppenheimer, responsabile della sezione scientifica a Los Alamos, stimava che sganciate su una città avrebbero causato ognuna all’incirca ventimila morti. Il suo era uno di quei calcoli che gli scienziati chiamano back-of-the-envelope, ovvero fatti a spanne e scarabocchiati su fogli di fortuna… Oppenheimer si sbagliava: solo a Hiroshima e solo i morti diretti sarebbero stati piú di centomila. Ma se qualcuno avesse menzionato una cifra del genere allora, a lui o a chiunque dei suoi colleghi fisici, nessuno ci avrebbe creduto.»

Paolo Giordano, Tasmania.

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